di Emma Lupano
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Baku, 4 giu.- Incompresa, temuta, mal rappresentata. La Cina, secondo i cinesi, non gode di buona fama in Europa e in particolare sui media del vecchio continente, come dimostrerebbe uno studio realizzato dal Centro di ricerca sul giornalismo e lo sviluppo sociale dell’Università Renmin di Pechino.
Basandosi su 100 prime pagine di autorevoli riviste internazionali come Time, The Economist, Der Spiegel e Newsweek, l’indagine metterebbe in luce la scarsa fiducia nutrita dagli europei nei confronti della Cina.
“Il risultato è impressionante: secondo questo studio, quasi la metà dei media globali ritrae la Cina come un paese ostile al dialogo”, ha spiegato Fu Jing, caporedattore del China Daily a Bruxelles e corrispondente capo in Europa, durante il suo intervento alla convegno “Media e politica: discorsi, culture e pratiche”, organizzato dall’Università degli Studi di Milano il 27 e 28 maggio.
Al contrario, “solo il 6 per cento rappresenta la Cina come ‘molto aperta’ al dialogo”. Una percezione che, secondo Fu, non rende giustizia agli sforzi diplomatici fatti da Pechino, e che dimostra invece come, nonostante la Cina sia “forte dal punto di vista economico”, nell’industria dei media “è sempre l’occidente a dominare, mentre la Cina è ancora debole. Si parla sempre di surplus commerciale della Cina nei confronti dell’Occidente – ha continuato il giornalista -, ma credo che dal punto di vista culturale il surplus sia dell’Occidente”.
Questo è il motivo per cui, ha spiegato Fu, “alcuni gruppi mediatici cinesi”, in particolare quelli legati direttamente al governo o a strutture del partito, “hanno fatto grandi sforzi, negli ultimi anni, per cercare di competere con i media occidentali”. Il China Daily, per esempio, testata governativa fondata nel 1981 per informare le comunità diplomatiche e imprenditoriali straniere basate in Cina, “ha deciso di prestare particolare attenzione ai temi legati allo sviluppo economico cinese, ai progressi del paese in ambito sociale e ai suoi successi culturali, con l’intenzione di ridurre il livello di incomprensione che esiste in Occidente. Allo stesso modo, anche Xinhua e People’s Daily [rispettivamente l’agenzia di stampa governativa e il quotidiano portavoce del partito comunista cinese] hanno fatto sforzi per offrire più contenuti che possano permettere al mondo di capire meglio la Cina”.
Il China Daily European Weekly, la versione europea del China Daily con cadenza settimanale, è nato nel 2010 ed è cresciuto rapidamente, ha ricordato Fu: “Da una circolazione iniziale di 30 mila copie è arrivato nel 2012 a una media di 102 mila copie in 29 paesi: una cifra che supera la circolazione di testate internazionali prestigiose come il Wall Street Journal”.
Ma non solo: secondo il giornalista, che è basato a Bruxelles dal 2010, la sua testata, sia a livello centrale che nelle redazioni estere, “sta cavalcando l’onda di sviluppo che l’intero settore dei media sta conoscendo in Cina: con una versione online già dal 1994, da due anni abbiamo cominciato a sviluppare news app che stanno crescendo molto velocemente”, ha detto Fu.
Dentro la Repubblica popolare, del resto, Internet ormai domina il mercato dei media. “Nel nostro paese abbiamo 650 milioni di netizen. Sono più della popolazione dei paesi dell’Unione Europea (500 milioni), e quasi pari ai cittadini dell’intero continente europeo, Russia inclusa: 700 milioni”.
Con il continuo aumentare del numero dei netizen, ma anche con il superamento, lo scorso anno, degli introiti pubblicitari del web sulla TV, tradizionalmente dominante, “l’anno scorso il governo ha annunciato delle linee guida per promuovere lo sviluppo integrato dei media tradizionali e dei nuovi media – ha spiegato Fu -. Si tratta di politiche per spingere alla creazione di piattaforme competitive, incoraggiate a entrare nel mercato e perfino a quotarsi in borsa”.
È la strada che sta seguendo il China Daily e che anche altri seguiranno, sperando di arrivare a imporsi sui colossi occidentali e di ridurre quel “surplus culturale” che vede la Cina in svantaggio nel panorama mediatico globale.
4 giugno 2015
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