Milano, 06 mag. - Nessun tono trionfalistico, ma riflessioni pragmatiche e generalmente pacate, in linea con quelle dei commentatori occidentali. È stata questa la reazione "a caldo" dei media cinesi di fronte alla breaking news del mese, l'uccisione di Osama bin Laden il 2 maggio.
Le testate della Repubblica popolare hanno dato grande rilievo alla notizia, dedicandole intere prime pagine. Hanno fatto così i principali giornali commerciali del Paese, come il Xin Jing Bao, il Beijing Wangbao, il Nanfang Dushi Bao, il Nanfang Ribao e il Jing Hua Shi Bao. Diversamente si sono comportati i fogli di partito, come il Renmin Ribao, che hanno sì inserito l'evento il prima pagina, ma dedicandogli tagli bassi, anche privi di immagini.
Vista la portata della notizia, tanti sono stati anche gli editoriali e gli articoli di commento messi in pagina. Quelli usciti sulle edizioni del 3 maggio sono stati per lo più 'shelun', cioè commenti firmati dalle redazioni, espressione della linea editoriale delle diverse testate. Tali sono ad esempio gli editoriali del Xin Jing Bao e del Nanfang Dushi Bao.
«Bin Laden è morto, il terrorismo non è morto» è il titolo scelto dalla redazione del Xin Jing Bao, da Pechino, che pur riconoscendo che «la morte di bin Laden segna la fine di un'epoca», sottolinea che ciò non equivale alla fine della lotta al terrorismo. «Per i primi dieci anni di questo secolo - scrive la redazione - bin Laden è stato il simbolo del terrorismo globale, non solo perché ha progettato l'attacco alle Torri gemelle, ma anche perché ha alimentato deliberatamente lo scontro tra civiltà. Bin Laden ha costruito una rete globale a sostegno della sua strategia del terrore e ha messo così a repentaglio la sicurezza in tutto il mondo».
Ora, secondo i commentatori della redazione, «la sua morte contribuirà a ridurre i legami tra Al Qaeda e le altre organizzazioni terroristiche, privando la rete globale del terrore di un solido coordinamento. Tuttavia, la morte di bin Laden inaugura una nuova era. La struttura di base di Al Qaeda, infatti, non è stata distrutta ed è possibile che l'organizzazione ritrovi un nuovo slancio proprio nel richiamo a vendicare l'uccisione del proprio leader. Per questo motivo, non solo l'allarme terrorismo non è diminuito, ma nel breve periodo il pericolo di attacchi potrebbe aumentare drammaticamente».
Secondo il Xin Jing Bao, perciò, la morte di bin Laden non permetterà a Washington di cambiare il proprio atteggiamento in politica estera. «Gli Usa possono agire da soli per uccidere bin Laden, ma non possono permettersi di tornare a una politica estera isolazionista. La strada verso un futuro di pace e tranquillità mondiale è ancora lunga e difficile e ci vorranno gli sforzi concertati dell'intera comunità internazionale per percorrerla con successo».
La pensano così, da Guangzhou, anche i commentatori del Nanfang Dushi Bao, che pur segnalando l'importanza storica dell'evento («Obama non passerà più alla storia soltanto per il colore della sua pelle»), ribadisce che «è assai probabile che nel breve periodo, diciamo nei prossimi sei mesi, la spinta a vendicare la morte di bin Laden porterà a un intensificarsi della minaccia terroristica». E anche se «a poco a poco la struttura creata da bin Laden è destinata senza di lui a disintegrarsi», secondo il giornale di Guangzhou «lo spirito e la realtà del terrorismo internazionale non sono stati certo sradicati, e con nuovi leader a sostituire la figura del capo di Al Qaeda anche il terrorismo prenderà nuove forme. Per questo Obama nel suo discorso ha sottolineato che la lotta contro il terrorismo non è finita».
Infatti, secondo i commentatori della testata, «è possibile sradicare l'estremismo islamico e il terrorismo mondiale solo rilanciando ovunque la crescita economica e favorendo l'integrazione culturale e la tolleranza. I leader americani, da Bush a Obama, lo sanno, e infatti non si sono mai stancati di sottolineare che la guerra al terrorismo non è rivolta contro l'islamismo e il mondo musulmano in generale, ma che anzi bin Laden non è un buon leader musulmano, perché ha portato all'uccisione di un enorme numero di musulmani in molte parti del mondo».
È invece un commento firmato quello pubblicato il 4 maggio dallo Huanqiu Shi bao. Zhou Yongrui, studioso dell'Accademia Cinese delle Scienze Sociali, si sofferma sul fatto che la morte di bin Laden sta provocando una divisione all'interno di Al Qaeda. «Anche se la morte di Osama bin Laden non ha minato la struttura terroristica di base, è comunque vero che il leader di Al Qaeda aveva un potere e una influenza senza eguali. Da vivo, la sua figura era in grado di integrare le diverse espressioni del terrorismo islamico e la sua morte improvvisa ha certamente causato confusione all'interno dell'organizzazione. Il venire meno della sua figura potente potrebbe rendere difficile organizzare e mobilitare attacchi terroristici su larga scala». Secondo Zhou, inoltre, «la morte di bin Laden potrebbe portare a una interruzione del flusso di capitali che finanziano i terroristi, rendendo più difficile il funzionamento di Al Qaeda».
Anche secondo lo studioso, comunque, la morte di bin Laden rappresenta più che altro «una vittoria simbolica nella guerra degli Usa contro il terrore». Simbolica perché, «come Obama sa, la morte di bin Laden non significa la fine del loro lavoro. Già nel febbraio di quest'anno gli Usa avevano detto che la maggiore minaccia alla sicurezza americana non era più rappresentata da bin Laden, ma dalle cellule terroristiche dello Yemen e dai gruppi estremisti del Pakistan. Ora, quindi - conclude Zhou - gli Usa dovranno adattarsi alla nuova mappa del terrorismo internazionale».
Tutte considerazioni in linea con la visione americana e occidentale dell'avvenimento, insomma, quelle apparse finora sulla stampa cinese. Di tutt'altro tono è invece un post anonimo che non ha (almeno per il momento) raggiunto le pagine dei giornali, ma che da due giorni sta circolando su internet all'interno sia di blog privati che di portali di informazione. L'autore si domanda: «Chi è il terrorista? Bin Laden oppure Obama?».
La provocazione è presto chiarita: «Perché ricordiamo soltanto i morti dell'11 settembre? Perché non ricordiamo i tanti civili morti sotto gli attacchi delle forze armate Nato e Usa? Gli americani sono forse più rispettabili? Le altre sono forse popolazioni di seconda classe? È vero che l'11 settembre sono morti tantissimi civili americani, ma quanti iracheni sono morti durante la guerra del Golfo? Quanti sotto i bombardamenti Nato nella ex Yugoslavia? E il terzo figlio di Gheddafi, ucciso pochi giorni fa in Libia? Il portavoce Nato ha negato che si sia trattato di un attacco mirato». E la conclusione, secondo l'anonimo autore del post, è assai preoccupante: «Finché gli Stati Uniti tenteranno di estendere la propria sfera di influenza, l'estremismo religioso continuerà a espandersi».
di Emma Lupano
Emma Lupano, giornalista professionista e dottoranda di ricerca sui media cinesi, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori
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