Milano, 1 lug.- I preparativi sono durati mesi, la popolazione è stata mobilitata al massimo. E oggi, 1 luglio, finalmente si celebra il novantesimo anniversario della fondazione del partito comunista cinese. Evento grande, grandissimo, che però, come tutte le ricorrenze più significative in Cina, è stato preceduto da uno strano silenzio. Mentre il Renmin Ribao dedica uno speciale all'anniversario in cui il Pcc viene definito "al culmine della sua autorità"; mentre l'agenzia di stampa Xinhua pubblicava, tre giorni fa, le foto della seconda edizione dei giochi "rossi" (competizioni ispirate alla Cina rivoluzionaria in cui i centro metri si corrono raccogliendo zucche, le staffette si fanno in divisa maoista e la marcia si pratica con un carico di cibo o coperte); le altre testate, quelle non dipendenti direttamente dal partito, facevano finta di nulla o quasi.
A tacere, al di là delle foto obbligatorie in prima pagina delle celebrazioni avviate in ogni angolo del Paese, sono più che altro i commentatori e gli editorialisti, che da alcuni giorni hanno scoperto una irrefrenabile voglia di occuparsi di temi remoti, poco stuzzicanti o estremamente specifici. Quale momento migliore di questo, ad esempio, per parlare del pedaggio autostradale che tocca pagare ogni volta che si desideri raggiungere l'aeroporto di Pechino in auto? Sul Xin Jing Bao ne scrive in toni accorati un commentatore chiamato Gao Di. «Quando è stata realizzata, nel 1993, era previsto che l'autostrada per l'aeroporto di Pechino fosse finanziata con il pagamento di un pedaggio per un massimo di 20 anni. Oggi però, con il cambiamento della società a cui fa capo l'infrastruttura, gli anni sono diventati 30». Ed è vero, segnala Gao, che «questa settimana l'azienda ha annunciato che dall'1 luglio il pedaggio in uscita da Pechino sarà dimezzato (da
Interessante, ma stranamente periferico rispetto agli avvenimenti di queste ore, è anche il commento di Zhang Monan, ricercatore del Dipartimento di previsione del Centro di informazione nazionale, pubblicato dal Nanfang Ribao, incentrato sulla necessità di sviluppare think tank veramente indipendenti. «L'indipendenza e l'obiettività sono le pietre angolari dei think tank, e solo think tank completamente indipendenti possono spezzare la tendenza autoreferenziale del pensiero sviluppato all'interno del nostro sistema». Il XXI secolo, infatti, «è il secolo del risveglio della Cina, ma per accompagnare al meglio la nostra ascesa c'è bisogno di una varietà di think tank moderni e di livello internazionale. In questa ottica, l'indipendenza dovrebbe essere il primo valore da ricercare». Obbligato, quando si parla di ascesa cinese, è come sempre il paragone con gli Usa: «Gli Stati Uniti - scrive Zhang - hanno il maggior numero di think tank al mondo, con cui influenzano l'economia, la politica, la società, la cultura e la vita militare anche al di fuori dei propri confini, in ogni angolo del mondo». Su esempio dei think tank americani, secondo il ricercatore, per garantire l'indipendenza dei think tank cinesi del futuro, sarà cruciale diversificare le fonti di finanziamento (anche estere) e la natura dei think tank, «dando spazio anche a organismi di origine non governativa, per garantire la pluralità del pensiero».
A leggere questi e altri editoriali usciti negli ultimi giorni sulla stampa cinese viene il sospetto che, come sempre in occasione di ricorrenze significative per la politica cinese, in vista dell'anniversario del partito i giornalisti locali abbiano deciso di tenersi alla larga da qualsiasi tema potenzialmente sensibile. Se non si possono scrivere e pubblicare commenti critici nei confronti del partito e della sua parabola quasi secolare, allora meglio tacere, sembrano aver pensato i commentatori cinesi o i redattori che gestiscono le pagine. Dimostrando così non solo che l'autocensura gode sempre di buona salute, ma anche che nessuno ha creduto alle rassicurazioni - giunte il 27 giugno da un portavoce dell'Amministrazione generale per la stampa e l'editoria - sui diritti dei giornalisti e sulla protezione ad essi garantita dalla legge. «I giornalisti in possesso di regolare tessera da giornalista che svolgono il proprio lavoro di indagine e intervista nel rispetto della legge sono protetti dalla legge». E poi: «La legge cinese non ha mai permesso ad agenzie governative o ad altre organizzazioni di tenere "liste nere" contenenti nominativi di giornalisti». La precisazione era doverosa, dopo il polverone sollevato - dentro e fuori dalla Cina - dall'intenzione dichiarata a metà giugno dal ministero della Salute di redigere liste nere per "schedare" i giornalisti responsabili di falsi reportage su salute e sicurezza alimentare. Ma a chi credono i cinesi dei media? Si fidano delle rassicurazioni dell'organo che assegna le licenze ai giornali e le tessere ai giornalisti? A giudicare dal silenzio circospetto di questi giorni sulla ricorrenza più importante dell'anno, si direbbe che alle buone intenzioni del potere non creda proprio nessuno.
di Emma Lupano
Emma Lupano, giornalista professionista e dottore di ricerca sui media cinesi, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori
© Riproduzione riservata