Nel 2009 la famiglia Trump richiedeva all'Onu un'azione urgente contro il cambiamento climatico. Tre anni dopo Donald Trump descriveva il surriscaldamento come un complotto cinese, definendolo “un mito” nel 2015. Oggi, gli Usa sono ufficialmente fuori dall'intesa climatica di Parigi. Non conta che sia stato un accordo storico tra 195 paesi, nè tantomeno contano gli appelli della comunità internazionale, di ambientalisti o ricercatori. Non importano le dimissioni dei boss di Tesla e Disney dalla Casa Bianca, nè i video di star come Schwarzenegger che gli ricordano che l'economia Californiana è prima negli Usa anche grazie alle rinnovabili.
L'obiettivo di Trump, secondo alcuni, è smantellare il lavoro di Obama più che di comprendere il fenomeno, proprio come accaduto per l'US Clean Power Plan. Nel suo discorso il neo-presidente attacca nuovamente la Cina, ritenendo ingiusto il fatto che possa aumentare le emissioni per altri 13 anni. Tuttavia, Trump sembra ignorare il fatto che quello sia il Paese che più investe in rinnovabili, che le sue emissioni siano in calo da 3 anni, e che non ha sulle spalle il peso di oltre due secoli di industrializzazione come Usa e Ue. Anche per questo l'Ue si è posta gli obiettivi più alti a Parigi, e allo stesso tempo presenta alcune tra le migliori politiche ambientali al mondo: la Finlandia sarà il primo paese 100% rinnovabile, la Germania smantella il nucleare, l'Italia è prima al mondo per fotovoltaico.
Questi presupposti sono ciò che, all'indomani del ritiro americano, hanno portato le due potenze a riaffermare la volontà di proseguire con l'accordo anche senza gli Usa, pronti a intensificare l'intesa strategica. Tusk, presidente del Consiglio Europeo, ha parlato di “un grave errore” di Trump, dichiarando che le relazioni transatlantiche continueranno ma che sono Cina e Ue a dimostrare solidarietà con il pianeta. Le due dichiarano di essere pronte a portare avanti insieme gli sforzi, stanziando un fondo di 100 miliardi di dollari per aiutare i Paesi più poveri a ridurre le emissioni. Il premier cinese Li si propone come leader dell'ambientalismo globale, e afferma che la situazione di instabilità creata porterà inevitabilmente le relazioni sino-europee a divenire più stabili. Macron propone invece un approccio più creativo, con un video in cui ribadisce gli impegni presi e invita tutti gli innovatori ambientali americani a trasferirsi in Francia al motto di “make our planet great again”.
Purtroppo però il vero problema che non si evince dalle dichiarazioni dei leader è un altro. La Cop21 di Parigi non ha dato gli esiti sperati. Gli accordi non erano sufficienti ad evitare che le temperature salissero oltre il punto di ritorno di 2 gradi, neanche con gli Usa, che sono il Paese che più ha inquinato nella storia. La loro uscita significa che per gli altri Paesi non basterà riaffermare gli sforzi. Essi dovranno necessariamente trovare un nuovo accordo per incrementarli. Il ritiro di Trump può essere un'opportunità non tanto per attrarre risorse americane in Europa, quanto per riaprire i tavoli con tutti i Paesi e arrivare ad un accordo persino migliore del precedente.
Pensando alle dichiarazioni di Cina e Ue questa strada si delinea come possibile per diversi motivi, soprattutto nell'urgenza di una storica intesa sul clima tra le due potenze. Non solo per via del loro assodato impegno, ormai leader nel rinnovabile, ma anche perché la politica estera di Trump è isolazionista, e si è inimicata i leader mandarini e europei, creando un vuoto politico che entrambi, e in particolare i cinesi, sono desiderosi di riempire. L'Europa mira a distaccarsi dall'orbita americana e ad aumentare la coesione tra i membri, come dichiarato dalla Markel al G7. La Cina mira a incrementare il proprio soft-power a spese di quello americano, consolidando la legittimazione domestica del partito e valorizzando il rinnovabile come “la più grande opportunità di mercato del secolo”.
Tuttavia, non è tutto oro ciò che luccica. Durante il summit di Bruxelles degli scorsi giorni, Cina e Ue hanno evitato un “joint statement” sulla rinuncia di Trump proprio perché ancora divise su una questione molto cara ai mandarini. Il loro riconoscimento come economia di libero mercato. Un etichetta con delle forti ripercussioni globali, e ancora ritenuta non adatta al protezionismo e al capitalismo di stato cinese. Temi ricorrenti nei negoziati sino-europei, che potrebbero tornare ad ostacolare l'intesa strategica tra le potenze. Inoltre, le carte più giocate dall'Ue nei negoziati coi mandarini sono la deriva ambientale e la questione dei diritti umani in Cina. Questi due temi hanno però perso oggi ogni credibilità. Il primo perché la Cina sta dando prova del suo impegno ambientale, e il secondo alla vista dell'incapacità dell'Unione di reagire al disastro umanitario che affligge medio-oriente e mediterraneo.
L'unica cosa certa è che un'intesa storica sul clima tra Cina e Ue è oggi più urgente che mai.