Una conversazione “molto buona”. Così il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha definito il colloquio telefonico delle scorse ore con Xi Jinping, il primo dopo il summit di Mar-a-Lago, in Florida, di settimana scorsa. I capi di Stato delle due principali economie del pianeta si sono parlati sulla questione nord-coreana e siriana per la prima volta da venerdì scorso, quando gli Usa avevano lanciato l’attacco missilistico alla base siriana di Al Shayrat, mentre Xi e Trump stavano mangiando il dessert (“la più bella fetta di torta al cioccolato che tu abbia mai visto”, secondo quanto dichiarato dallo stesso Trump in un’intervista a Fox News), ma i toni di solo poche ore prima non erano così cordiali. Il presiedente degli Stati Uniti mercoledì ha inviato due nuovi messaggi alla Cina su Twitter.
I explained to the President of China that a trade deal with the U.S. will be far better for them if they solve the North Korean problem!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 11 aprile 2017
- Per Pechino “un accordo commerciale con gli Stati Uniti sarà molto migliore se risolvono il problema della Corea del Nord”;
North Korea is looking for trouble. If China decides to help, that would be great. If not, we will solve the problem without them! U.S.A.
— President Trump (@POTUS) 11 aprile 2017
“La Corea del Nord cerca guai. Se la Cina deciderà di aiutare, bene. Se no, risolveremo il problema senza di loro”.
I due fatti non sono in diretta correlazione, anche se così sono stati letti da molta stampa internazionale. Al tono da businessman consumato del primo tweet segue un secondo più risoluto. Niente di nuovo rispetto a quanto Trump stesso aveva dichiarato al Financial Times, pochi giorni prima del summit con Xi. Il giudizio di oggi sul colloquio con Xi lascia pensare che la conversazione telefonica abbia portato il presidente degli Stati Uniti a più miti consigli e che il presidente degli Stati Uniti voglia davvero intraprendere un rapporto diretto con il leader cinese, nonostante i toni durissimi della sua campagna elettorale. Le posizioni dei due, però, non sembrano coincidere.
Cosa ha chiesto Xi al colloquio con Trump
- Soluzione “con mezzi pacifici” della crisi in Corea del Nord;
- Denuclearizzazione della penisola attraverso il ripristino dei colloqui a sei (Cina, Usa, Corea del Nord, Corea del Sud, Giappone e Russia) interrottisi nel 2009 poco prima del secondo test nucleare di Pyongyang;
- Condanna dell’uso di armi chimiche, definite “inaccettabili”;
- “Una voce unanime” sulla guerra in Siria da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (anche se il 28 febbraio scorso, in Consiglio di Sicurezza, la Cina abbia opposto il veto a sanzioni contro il regime di Bashar Al-Assad per l’uso di armi chimiche, in totale il sesto dall’inizio della guerra, ricevendo il sentito apprezzamento dello stesso presidente siriano, pochi giorni più tardi).
La Siria tiene banco sulla stampa cinese
Proprio la Siria, ma soprattutto l’atteggiamento di Trump verso il regime di Assad, è uno dei temi più dibattuti di questi giorni sulla stampa cinese. Anche dietro all’avvertimento lanciato dal tabloid Global Times alla Corea del Nord, c’è l’ombra della Siria. Il giornale cinese ha usato toni netti sul regime di Kim Jong-Un, che il prossimo 15 aprile celebrerà l’anniversario della nascita del fondatore del Paese, Kim Il-Sung, nonno di Kim Jong-Un.
- “Non solo Washington trabocca di fiducia e arroganza dopo l’attacco missilistico alla Siria, ma Trump vuole anche essere visto come un uomo che onora le proprie promesse”, scrive oggi il giornale pubblicato dall’ufficialissimo Quotidiano del Popolo;
- “Pyongyang farebbe meglio a non fare errori, questa volta”;
- Pechino potrebbe mutare atteggiamento se Pyongyang decidesse di intraprendere, come molti osservatori temono, un nuovo test nucleare, il sesto dal 2006, nei prossimi giorni.
Pechino sul piede di guerra? Non ufficialmente
In questo scenario complesso, che comprende anche l’invio di navi da guerra statunitensi verso il Pacifico occidentale deciso domenica scorsa, il Ministero della Difesa cinese ha deciso oggi di porre fine a quelle che definisce “pure montature” della stampa internazionale, che nei giorni scorsi ha parlato di 150mila soldati dell’Esercito di Liberazione Popolare cinese inviati al confine con la Corea del Nord. Non ci sarebbero soldati cinesi, né personale medico militare lungo il fiume Yalu, che fa da confine con il regime di Kim Jong-Un, nonostante gli infuocati toni di Pyongyang degli ultimi giorni che lasciavano presagire a un’escalation della tensione.
- Pyongyang ha condannato sabato scorso l’attacco usa alla Siria, spiegando che “dimostra per la milionesima volta” che il Paese ha fatto bene a proseguire nel proprio programma nucleare;
- Il regime di Kim Jong-Un ha definito “spericolata” la decisione di Washington di inviare le proprie navi nei pressi della Corea del Nord e ha minacciato “catastrofiche conseguenze” per le azioni degli Stati Uniti.
Difficilmente Trump deciderà di attaccare la Corea del Nord, come ha fatto con la Siria: è il pensiero di diversi analisti che parlano in queste ore. Altrettanti analisti, nei mesi scorsi, ritenevano quanto meno improbabile che Trump potesse davvero decidere, come promesso in campagna elettorale, di ritirare gli Usa dalla Trans-Pacific Partnership, l’alleanza commerciale con altri dodici Paesi dell’Asia-Pacifico.
Sono stati smentiti. Il presidente degli Stati Uniti ha scelto proprio il momento più conviviale dell’incontro con Xi per annunciargli l’attacco in Siria, il dessert, secondo quanto detto dallo stesso Trump. Il prossimo incontro tra i due sarà in Cina, su invito di Xi, a data da destinarsi. Meglio non sbilanciarsi in previsioni e non servire torte al cioccolato.