Milano, 13 gen. - Anno nuovo, tempo di previsioni. La lenta ripresa dalla crisi economica globale e l'inizio del nuovo decennio sembrano aver inebriato i commentatori cinesi che, nei primi giorni di gennaio, si sono scatenati con previsioni dall'ottimista al catastrofico, ma senza mai mettere in discussione le magnifiche sorti e progressive del loro Paese. La Cina – gli editorialisti locali ne sembrano convinti – non ha che da aspettarsi un fulgido futuro, dal punto di vista economico e non solo.
Come tutti i commentatori fanno notare, il 2010 «sarà un anno di riforme estremamente importanti, un anno chiave per marciare verso la ripresa e in cui cogliere opportunità di sviluppo a lunga scadenza». Lo sottolinea tra gli altri Ji Shiping in un editoriale pubblicato il 3 gennaio sul Zhongguo Gongshang shibao (China Business Times), mostrando come i leader dei maggiori Paesi del mondo abbiano parlato, nei propri messaggi per l'anno nuovo, della necessità di riformare i più diversi aspetti dei propri sistemi. Lo ha fatto anche Hu Jintao, «sottolineando – segnala Ji - che la Cina deve: aumentare la qualità e i benefici della crescita economica; promuovere un cambiamento nelle modalità dello sviluppo economico e nella struttura dell'economia nazionale; continuare il processo di riforma e apertura; e promuovere la creatività e l'innovazione».
Il 4 gennaio, il Di yi caijing ribao (Il primo giornale economico-finanziario) ha pubblicato due editoriali sul tema. Il più ottimista è quello di Xiang Sunzuo. Citando un articolo uscito sulla rivista americana Foreign Affairs, secondo cui la globalizzazione subirà un improvviso arresto, Xiang sostiene invece: « Nei prossimi 10 anni, il trend della globalizzazione non può cambiare. E la Cina sarà la principale forza trainante del prossimo stadio della globalizzazione».
Da una parte, ammette Xiang, «è vero che recentemente c'è stato un intensificarsi del protezionismo in tutto il mondo, in particolare contro la Cina, specialmente negli Usa e in Europa. Ed è anche vero che alla conferenza di Copenhagen, partita sotto cattivi auspici, il neonato protezionismo ambientale ha assunto un'aria sinistra». Tuttavia, i segnali raccolti negli ultimi mesi paiono incoraggianti. «L'ultimo trimestre del 2009 ha mostrato l'inizio di una rapida ripresa del commercio globale, e molte aziende cinesi hanno ricevuto dall'estero ordini che vanno fino al secondo o addirittura al terzo trimestre del 2010. L'azienda Jili ha acquistato Volvo per 200 milioni di dollari, suscitando reazioni positive sia in Cina che all'estero. La Repubblica popolare e i paesi del sud-est asiatico hanno avviato la creazione di un'area di libero mercato, una grande regione dove molto presto le merci circoleranno senza più bisogno di pagare tasse doganali».
Dal prossimo decennio, insomma, Xiang si attende una riscossa della Cina su scala globale e iol conseguente declino del predominio americano. «La crisi finanziaria spingerà molti paesi a ripensare il "modello Wall Street" o il "modello americano" e, nei prossimi dieci anni, il sistema di cambio basato sulla prevalenza del dollaro dovrà affrontare profondi cambiamenti. […] Il dollaro sarà ancora la moneta dominante per le riserve nazionali, ma la sua posizione sarà in costante calo, mentre l'euro, il renminbi, il rublo russo, la rupia indiana e le altre monete più importanti guadagneranno continuamente posizioni». Inoltre, la competizione tra i centri finanziari internazionali «crescerà di intensità e le strutture finanziarie si sposteranno gradualmente verso l'Asia. Nei prossimi anni, il potere finanziario sarà ripartito tra New York, Londra e Shanghai».
Più fosche le previsioni di Zhang Tingbin, sempre dalle pagine del Di yi caijing ribao. «I prossimi 5 anni – scrive Zhang - saranno un periodo cruciale in cui l'umanità deciderà il suo destino. Che questa sia stata la crisi più profonda dopo quella del 1929 non sorprende più nessuno. Come insegna la storia, se dopo una grande crisi finanziaria - che è anche una crisi economica, monetaria, sociale e politica - l'uomo non ha la capacità di reagire, l'esito più probabile è una guerra. In che modo possiamo cambiare il corso degli eventi?».
La sua analisi della situazione storica attuale, in particolare del sistema capitalistico e liberale di stampo occidentale, è a dir poco cupa. «All'inizio del XXI secolo – dice Zhang - nessuno immaginava che questi dieci anni avrebbero segnato il fallimento del modello di civiltà capitalistico-liberale occidentale. Nel 2000 è esplosa la bolla del Nasdaq; nel 2001 c'è stato il terribile attacco dell'11 settembre; nel giugno del 2003 gli Usa hanno iniziato la guerra contro l'Iraq senza il permesso delle Nazioni Unite; all'inizio del 2008 gli Stati Uniti hanno partorito la più grave crisi finanziaria dal 1929».
In questi dieci anni, riconosce Zhang, gli Usa hanno preso anche «alcune decisioni sagge: l'11 novembre del 2008 hanno eletto presidente Obama, che sulla carta rappresenta la scelta migliore per ridurre il divario tra le varie popolazioni presenti nel Paese. Nell'ultimo anno Obama ha accorciato le distanze tra le etnie e tra gli strati sociali, ma, quando ha provato ad avviare la riforma del sistema sanitario, le contraddizioni interne alla società americana sono esplose e lo stile conciliante di Obama è diventato pericoloso. Anche le sue scelte in politica internazionale lo stanno portando da una crisi all'altra: ha mandato ulteriori truppe in Afghanistan, ha provocato una rivolta in Iran. Sempre più studiosi ritengono che il dollaro dovrà presto affrontare un drammatico crollo».
Analizzati i segni del declino americano, Zhang spiega anche quale sia, secondo lui, la causa dell'attuale crisi economica: «L'eccessiva libertà capitalistica ha portato all'accumulo di capitali nelle mani di pochi, mettendo così a repentaglio la normale piramide sociale. Le masse si sono trovate a strisciare sul fondo, mentre una piccola minoranza si gode la vita ai vertici della società». La situazione è esplosiva: da una parte, «il ciclo delle bolle finanziarie diventerà più breve»; dall'altra «i gruppi di interesse legati ai beni di consumo e le persone comuni, spaventate dal rischio di una bolla monetaria, correranno ad accumulare oro. Il mito di Wall Street scomparirà e ogni stato, nazione e strato sociale sospenderà le operazioni finanziarie e ridurrà i consumi».
E la Cina? «Negli ultimi 30 anni – afferma Zhang - la riforma economica cinese ha seguito un percorso che faceva riferimento al modello occidentale. Tuttavia, la Cina ha mantenuto il suo sistema socialista e questa scelta si è rivelata efficace, perché ci ha evitato di diventare un'appendice del capitalismo occidentale».
Certo i problemi in Cina non mancano: «Il Pil cinese è già il secondo al mondo, ma il reddito pro capite ci confina ai margini delle statistiche. Questa contraddizione dipende dai gravi squilibri nella distribuzione della ricchezza nazionale. Quando il dollaro sarà collassato, è assai probabile che questo divario diventi ancora più profondo. Il continuo aumento dei prezzi delle case aggraverà ulteriormente la situazione. A quel punto, lo squilibrio potrebbe superare il limite di sopportazione delle masse e potrebbero esplodere le rivolte».
Ma se «il meccanismo storico che spinge verso il collasso è già cominciato», per Zhang la Cina ha due possibilità per evitare il peggio. Una è quella di «costruire un sistema politico di vero socialismo democratico, ridistribuendo la ricchezza in modo razionale, liberandosi dalla stretta dipendenza dal mercato occidentale e costruendo un sistema economico equo e razionale in cui l'oro sia la moneta di base». L'altra è che «i governanti, sotto il controllo della società, puntino ancora di più ad affermare la giustizia e a combattere la corruzione e gli interessi costituiti, rimuovendo gli squilibri nella società per garantire la stabilità. […] I governanti – ammonisce Zhang - dovranno ottenere la fiducia e il sostegno delle masse imparando a respirare con loro e a condividere il loro destino».
di Emma Lupano
Emma Lupano, sinologa e giornalista, cura per AgiChina24 una rassegna stampa bisettimanale volta a cogliere pareri autorevoli di opinionisti cinesi in merito a temi che si ritengono di particolare interesse per i nostri lettori.