Credetemi, il Marocco non c'entra nulla con quei 26 secondi di orrore
La tragedia delle due turiste nelle mani di un boia senza Dio in un video inguardabile e osceno getterà un'ombra su una società generosa e ospitale. Il mio dolore è immenso

Dopo tutti questi anni di terrore pensavo di essermi abituato, ahimè, a raccontare l’orrore. Davanti alla notizia, e alla scena, della decapitazione delle due turiste scandinave in Marocco non ce l’ho fatta. Non sono riuscito ad arrivare in fondo a quei 26 secondi che mostrano una ragazza sgozzata da un boia senza Dio. Non ce l’ho fatta perché ho in testa i volti sorridenti delle vittime: la 24enne danese, Louisa Vesterager Jespersen, e la sua amica norvegese, Maren Ueland, 28 anni. E non ci sono riuscito perché conosco bene il Marocco: ci sono nato e cresciuto. E ci torno ogni volta che posso.
È una terra povera che ha fatto dell’ospitalità la propria ricchezza. Nelle case marocchine la stanza più grande è sempre quella dedicata agli ospiti. Ancora oggi i padroni di casa tendono a non sedersi al tavolo con gli ospiti ma solo a servirli. Memori dei tempi difficili in cui non ce n’era mai in abbondanza per tutti. Non è vanteria ma generosità.
Il Marocco non è quell’orrore immortalato in 26 secondi che hanno distrutto due famiglie e sconvolto milioni di persone. Gli assassini sono stati presi nel giro di ore. L’antiterrorismo di Rabat è tra i più efficienti al mondo. Al punto da intervenire in soccorso anche dei Paesi europei. Questa volta la prevenzione, purtroppo, non ha funzionato.
I colpevoli molto probabilmente saranno condannati a morte (anche se le esecuzioni sono sospese da oltre vent’anni). Ma questo non basterà, perché l’ombra di quei 26 secondi oscurerà il Marocco per diverso tempo. La popolazione non ha alcuna intenzione di rassegnarsi. I social pullulano di messaggi di condanna delle atrocità e di solidarietà alle vittime. E la richiesta è unanime: “Non accada mai più”. E mi unisco a quella richiesta perché non voglio abituarmi a quei 26 secondi.
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it