Jordy era un ragazzino di strada di Pointe Noire. L’ho conosciuto durante il mio lungo soggiorno nella Repubblica del Congo.
Il 25 maggio 2018 è il giorno, nel mondo, dedicato all’Africa. Avrei potuto raccontare delle enormi ricchezze del continente, depredate dai bulimici del potere e del denaro, i dittatori irremovibili di numerosi stati africani. Avrei potuto raccontare della sanità che non funziona, dell’educazione e della scuola privilegi per pochi. Delle malattie, della povertà, dell’assenza di Stato e governance. Della corruzione. Ci penserà sicuramente qualcun altro.
Io, invece, ho deciso di raccontare la storia di questo ragazzino di strada, dei suoi sogni che, poi, sono i sogni di centinaia di migliaia di bambini e bambine africane, a cui è negato il diritto di esistere, nemmeno sognare un futuro possibile, ma solo vivere affinché si arrivi a sera vivi.
Una partita a pallone sulla riva dell'Oceano
Le domeniche pomeriggio, sulla riva dell’oceano Atlantico, sulla Cote Sauvage, insieme ad altri amici organizzavamo delle partite di calcio i cui protagonisti erano proprio alcuni ragazzini di strada di Pointe Noire. In occasione di una di quelle partite ho conosciuto Jordy. Nell’intervallo tra un tempo e l’altro mi ha raccontato la sua storia. Di essere scappato da Kinshasa, la capitale dell’altro Congo, perché i suoi genitori non riuscivano a mantenerlo e il padre acquisito lo maltrattava. È stato, persino, accusato di stregoneria. Di aver attraversato il fiume con mezzi di fortuna. Di essere sbarcato su questa sponda a Brazzaville e con il treno fino a Pointe Noire.
Una scelta ponderata, perché questa è la capitale economica del paese. Brazzaville, la capitale politica, offre poco anche ai bambini di strada. Così abbiamo fatto amicizia, una lunga amicizia. Mi ha raccontato della mamma che “non c’è più” e non ha potuto salutarla per l’ultima volta. Forse qualcuno, io non riesco a farlo, gli racconterà che lei ora lo guarda da lassù. Non capisco, però, come ha fatto a sapere che la mamma non c’è più. Pointe Noire non è la sua città, il suo villaggio è a centinaia di chilometri, addirittura in un altro Stato. Eppure l’Africa è così. Jordy, tuttavia, non si scoraggia.
Crede, ne è convinto, che un giorno tornerà al suo villaggio non più da paria e bambino di strada, ma da adulto con un mestiere, capace di progettare il futuro. Me lo ripete spesso, perché il suo sogno è avere un tetto sopra la testa e andare a scuola. Per ora si accontenta del tetto di lamiera delle bancarelle del mercato della città.
"Dormire sulla piaggia è pericoloso"
“Dormire sulla spiaggia”, mi dice, “è troppo rischioso. Almeno al mercato se piove posso ripararmi”. E poi c’è la scuola. Capisce perfettamente che quello è il passaggio necessario per avere un futuro. Vorrei aiutarlo a realizzare i suoi sogni. E così mi metto in moto. Con l’aiuto di un missionario salesiano che lavora lì, padre Valentino, cerchiamo di introdurlo al “foyer” degli altri ragazzi di strada, costruito dal missionario. Qui tutti hanno un tetto, da mangiare due volte al giorno e, soprattutto, tutti o vanno a scuola o frequentano le scuole professionali per imparare un mestiere. A Jordy piace.
I soldi sulla strada battuta dai bianchi
Dopo la diffidenza iniziale, ora lo frequenta tutte le domeniche. Padre Valentino vuole capire se riuscirà ad adattarsi, a seguire le regole di una comunità. Altra cosa è la strada. Tutto viene vissuto istante dopo istante. Jordy continua a “battere” le vie più frequentate dai bianchi. Sa perfettamente che lì girano i soldi ed è più facile finire la giornata al mercato con la pancia piena.
Solo il sabato, Jordy migra nelle vie delle discoteche frequentate da bianchi in cerca di una compagna nera. Sa perfettamente che quando sono un po’ bevuti, i bianchi, e in compagnia di una ragazza nera, sganciano più facilmente pur di disfarsi dei mocciosi che gli ronzano intorno. Ma in Jordy, ormai, si è insinuato il desiderio, la voglia, di frequentare quella casa di ragazzi che hanno lasciato la strada per costruirsi un futuro. Sempre più spesso mi chiede quando accadrà. Non voglio deluderlo. Ho fatto una promessa a lui e a me stesso. E il giorno arriva.
Padre Valentino, una sera, senza troppi giri di parole, mi dice che Jordy può lasciare la strada e entrare nel foyer des enfants de la route. Basta, bisogna solo dirlo a lui. Ci diamo appuntamento alla Citronelle, pasticceria alla moda sulla via principale, la Charles de Gaulle. Jordy arriva, non dice una parola, si abbuffa di pasticcini e, ben sazio, indica la porta, la strada.
Di notte, l’angolo di fronte alla pasticceria, diventa un ristorante per bambini di strada, ubriaconi dell’ultima ora e puttane senza lavoro. Il suo mondo.
Domani al foyer
Il traffico della Charles de Gaulle si smorza d’improvviso. Jordy mi prende la mano, non lo aveva mai fatto. Gli racconto che già l’indomani potremmo andare al foyer. Non dice una parola. Un semplice cenno del capo e un sorriso grande così. Gli dico di trovarsi l’indomani davanti al cancello di casa mia intorno alle 10 e gli faccio solo una raccomandazione: questa sera non andare a battere le vie delle discoteche. Non so perché glielo dico. Sono solo contento che domani potrà incominciare a costruirsi un futuro, per davvero.
L’indomani Jordy non si presenta. Aspetto, ma di lui nemmeno l’ombra. Comincio a cercarlo. Sguinzaglio gli altri ragazzini di strada. Ma niente. Svanito nel nulla. Mi rassegno. Spesso capita che preferiscano la strada a un luogo sicuro. Torno a casa un po’ deluso. Verso sera mi chiama il guardiano e mi dice che ci sono dei ragazzini che vogliono parlare solo con me. Sono di poche parole: “Jordy è morto”.
Una tomba scavata di nascosto
Indago, voglio capire cosa è successo. Sabato notte stava girovagando davanti alle discoteche della città. Ormai notte, forse mattina, insieme a un altro ragazzo ha deciso di rannicchiarsi in una rientranza di un marciapiede per dormire, proprio davanti a una discoteca. Un tizio, ubriaco e strafatto, occidentale bianco, insieme alla donna raccattata in un night, ha messo in moto il suo suv. Troppo preso dalla venere nera è partito passando sopra Jordy. Mi hanno detto che è morto quasi subito e i compagni di strada, senza far troppo rumore, lo hanno sepolto da qualche parte, in fretta e senza cerimonie, proprio come si addice a un ragazzino di strada senza storia e senza nome.
Anche se è morto ha vissuto e ha provato fino all’ultimo a realizzare il suo sogno. Jordy è stato ed è nel mio cuore, e lo sarà per sempre, ora è anche nel vostro cuore perché avete letto e conosciuto la sua storia. Ecco perché questo Africa Day lo dedico a Jordy e ai tanti bambini e bambine, senza nome e storia, che popolano le strade delle metropoli africane.