Acqua, educazione, salute. Tre capisaldi per uno sviluppo dignitoso e rispettoso dell'uomo. Ma non sempre questi tre fattori sono garantiti in Africa. Spesso sono disattesi.
La salute è a pagamento e ne beneficiano in pochi. Il processo "virtuoso" per arrivare a un welfare, oltre che sostenibile, pubblico è lento. In alcuni paesi è avviato in altri, come in Sud Sudan e in Mauritania, è un bel miraggio. Qualche numero esplicativo:
- 4 keniani su 5 non hanno accesso all’assicurazione sanitaria;
- 4 medici ogni 100 abitanti è la media africana, in Europa è di 370;
- Il 50% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, cioè con meno di 2 dollari al giorno.
Di tutto ciò ne abbiamo parlato con Guglielmo Micucci, direttore generale di Amref Health Africa
Il difficile accesso all'acqua
"L'accesso all'acqua - spiega Micucci - è spesso difficoltoso, a volte complicato. In alcune aree rurali dell'Africa la popolazione deve percorrere anche dai 5 ai 7 chilometri per raggiungere una fonte d'acqua. Ma il problema non si limita alla vicinanza o meno della fonte, è anche un problema di acqua pulita".
Ma è all'acqua che è legata la possibilità di uno sviluppo sostenibile, che passa, necessariamente attraverso l'educazione e all'emancipazione della donna.
I bambini sono costretti a lasciare la scuola
"La mancanza d'acqua o la distanza della fronte hanno proprio effetti devastanti sull'educazione. Sono spesso i bambini, infatti, che hanno il compito dell'approvvigionamento, oppure le donne. Un fatto così banale: andare a prendere l'acqua, date le distanze, fa si che i bambini non possano andare a scuola. E la crisi, che si sta vivendo in tutto il Corno d'Africa, a causa della siccità, rende l'abbandono scolastico quasi una necessità. Questo lo stiamo vedendo in Uganda, ma anche in Kenya dove in alcune aree l'abbandono è intorno al 20-25 per cento. Su aree con una popolazione scolastica tra le 10-15mila persone, il 20 per cento rappresenta un numero importante".
Sembra, quasi, di assistere a una regressione. Anziché fare passi avanti, se ne fanno molti indietro, proprio a proposito dei processi di sviluppo.
"E' assolutamente vero, in particolare nel Corno d'Africa. La crisi, la siccità portano all'interruzione delle attività di formazione, perché, in questo momento occorre privilegiare gli interventi di emergenza. E spesso emergenza e sviluppo non vanno d'accordo. O meglio, occorre conciliare questi due aspetti. Andare in una scuola dove manca l'acqua non è certo incentivante. Dunque, vi è il rischio reale che vi sia una minore attenzione allo sviluppo. In casi di emergenza, tuttavia, occorre tamponare ma anche continuare con i processi di sviluppo. Processi, per altro, che richiedono pazienza, anni, perché si vedano dei segnali concreti di progresso".
Verso il modello americano di sanità
Di recente, Amref ha organizzato una conferenza internazionale proprio sul tema della salute in Africa, a cui hanno partecipato 23 paesi, 700 persone, tra appartenenti alle organizzazioni non governative, alla società civile, alle stesse autorità, ministri della sanità di diversi paesi africani.
I risultati, a suo avviso, sono stati positivi?
"Direi proprio di sì. Si sono studiati quei meccanismi che, se messi in campo, possono creare l'effetto moltiplicatore. La salute, l'accesso alle cure, è un elemento di base per lo sviluppo sostenibile di una nazione". Sempre più paesi africani stanno adottando modelli sanitari riconducibili a quello americano, fatto di assicurazioni, abbandonando il modello pubblico. "Questo è uno dei grandi temi, in particolare in Africa orientale. Non solo vengono ridotti, progressivamente, i finanziamenti alla sanità per spostare le risorse sulle infrastrutture. Ma vi è anche un altro tema: in parte dell'Africa le classi medie stanno crescendo e questo porta a privilegiare la sanità a pagamento. Ciò significa, tuttavia, che la maggioranza della popolazione viene estromessa dai servizi sanitari di base. Visto che molta parte della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, non ha nemmeno i 3 dollari che noi chiediamo nelle nostre strutture, per accedere ai servizi. In sostanza la sanità migliore è solo per chi se la può permettere e sono davvero pochi".
Viene privilegiato il modello che si basa sull'assicurazione sanitaria - che in pochi si possono permettere - e quindi una sanità a pagamento, perché gli Stati non hanno i soldi per un intervento pubblico, o perché le risorse vengono dirottate in settori più redditizi?
"E' un mix di queste cose. Occorre, tuttavia, considerare che il processo è lento. Così come lo è stato da noi. In Africa, però, non è strutturato: chi deve pagare le tasse non le paga, le aziende, per effetto della globalizzazione, pagano le tasse altrove. Per non parlare degli effetti devastanti della corruzione. Tutto ciò fa si che avanzi il privato a scapito del pubblico".
Ma si vedono segni di speranza?
"Credo proprio di sì. È' necessario mettere in campo un processo virtuoso, anche se lento e complesso, ma necessario perché si arrivi a una sanità davvero pubblica e per tutti. In Sud Sudan stiamo lavorando sulla formazione del personale sanitario proprio allo scopo di costruire un sistema pubblico. Se guardiamo a paesi come l'Uganda, la Tanzania, il Mozambico, i segnali positivi si vedono eccome. In Kenya, per esempio, stiamo vedendo un cambiamento, anche se lento. Bisogna continuare a investire e monitorare, anche per decenni".