Oggi sono 50 anni dell’occupazione della Palestina. Io provengo da un altro stato occupato - Cipro - e pensavo di sapere benissimo cosa volesse dire provare a resistere allo status quo; pensavo di sapere che lo status quo spesso normalizza le ingiustizie. Avevo anche capito, una volta uscita dei confini del mio Paese, che è importante ascoltare l’altra versione della storia.
Poi sono andata in Palestina.
Il punto non è solo che Israele continua a non rispettare i confini concordati a livello internazionale (i Palestinesi hanno perso il controllo della loro terra 3 volte dal 1947 rispetto a come era stata definita nel Piano di Partizione dell’ONU : nel 1948, nel 1967 e nel 1995). Il punto è soprattutto, che Israele viola ogni giorno il diritto internazionale umanitario.
Il vero problema dei Palestinesi è che la costante violazione dei loro diritti umani e della legge internazionale è ormai considerata cosa normale. Il diritto umanitario è realistico, si basa sul fatto che le guerre esistono e che le occupazioni non possono essere risolte tutte subito. Regolamenta, quindi, cosa può e cosa deve fare un paese occupante durante un’occupazione.
Per esempio, determina che le persone che vivono sotto l’occupazione dovrebbero godere dei loro diritti umani universali: il diritto di muoversi liberamente, il diritto a una giustizia uguale per tutti, il diritto di vivere una vita senza violenze ingiustificate.
Purtroppo, questi diritti in Palestina non vengono rispettati. Quello che mi ha colpito di più, durante il mio viaggio in quelle terre, non sono state le storie di amici Israeliani e Palestinesi su guerre, carceri e persone uccise: quello che mi ha colpito di più è stato vedere con i miei occhi l’impossibilità di vivere una vita normale. Cose semplici come pranzare a casa la domenica, frequentare l’università, amare, sono impossibili lì. La vita, in Palestina, spesso diventa una lotta giornaliera.
Per Maryam, una donna giovane e solare che ho conosciuto a Betlemme, andare a trovare la madre a Hebron era diventato un incubo. Il centro di Hebron è blindato, per entrare si passa da vari checkpoints, sotto gli occhi di giovani soldati con le armi puntate.
Mona, un'altra ragazza di 21 anni che ho conosciuto, è stata invece costretta ad abbandonare l’università e il suo fidanzato:andava ogni giorno da Ramallah a Gerusalemme Est per studiare. Un giorno, le autorità israeliane le hanno chiesto di cambiare la residenza,cosa che le avrebbe impedito di tornare a casa a Ramallah senza permessi speciali.
Per non parlare di Amira che mi ha spiegato gentilmente che non poteva venire con me a Gerusalemme a visitare i luoghi sacri per Cristiani, Musulmani e Ebrei, non avendone proprio il diritto.
Che Stato è l’Israele che non permette tutto ciò? Cosa devono fare queste ragazze? Dove andranno a studiare, a vivere, ad amare? Che vita è?
Potrei parlare di tante cose, comele case dei Palestinesi che vengono distrutte ogni anno (l’organizzazione israeliana BTSelem nota che il 70% dei territori non è a disposizione dei Palestinesi per la costruzione delle proprie case) mentre lo stato Israeliano continua a permettere l’edificazione di colonie illegali. Illegali perché il diritto internazionale vieta al paese occupante lo spostamento di civili nei territori occupati. Ron, un amico israeliano mi ha confessato che, crescendo in una colonia, non aveva idea che la sua città fosse illegale. Il problema è sempre questo: l’illegalità sembra normale, persino per chi in questo caso ha il “privilegio” di far parte dello stato occupante. Comprendere l’altra faccia della medaglia è impossibile se lo status quo continuerà a normalizzare l’illegalità.
L’Israele è un Paese per altri versi bellissimo, con tante promesse per il futuro: un paese di imprenditori, di startuppers, di una generazione giovane che cerca qualcosa straordinario lì. E’ tempo però che lo stato di Israele cambi strada sull’occupazione dei territori; è tempo che Israele riconosca che Maryam, Amira e Mona hanno diritto di vivere, di amare, di camminare e viaggiare libere e tranquille. E che è anche Ron ha diritto di conoscere la verità.