Sara' l'anno dei fatti e non piu' dei grandi appello. E la sconfitta nel Massachussets ha dato l'allarme. Se non vorra' registrarne una piu' cocente, Barak Obama e' chiamato ad avviare una strategia politica destinata a risollevare le sorti dei Democratici, in caduta libera negli ultimi sondaggi. "Ragionare sulla tattica, ma tener ferma l'agenda", ha detto David Axelrod, l'artefice dell'ascesa del presidente alla Casa Bianca e oggi suo principale consigliere. Il prossimo appuntamento sara' il 27 gennaio, ancora con un discorso, quello agli Stati dell'Unione.
Riforma sanitaria, crisi del nucleare con l'Iran e la Corea del Nord, pace in Medio Oriente, rilancio dell'economia, lotta al terrorismo, guerre in Iraq e Afghanistan. Se il 2009 e' stato l'anno dei messaggi, del premio Nobel e del manifesto di una nuova visione della collocazione degli Stati Uniti sulla scena internazionale, nel 2010 Barack Obama dovra' dare l'avvio alle scelte concrete. "E' venuto il momento di trasformare le parole in atti", ha spiegato James Lindsay, ex assistente di Bill Clinton e oggi analista del Consiglio per le Relazioni internazionali.
La macchina dei fatti, per la verita', e'gia' partita, ma solo in politica interna, con il presidente americano determinato, a un anno del suo insediamento, a portare a termine la grande promessa democratica: la riforma sanitaria. L'esito delle elezioni suppletive nel Massachussets, vacante dopo la morte di Ted Kennedy, rischia pero' di inceppare il meccanismo. Proprio il risultato nella "Camelot" democratica, dove il "signor nessuno" Scott Brown ha battuto Martha Coakley.
La sconfitta democratica e' per l'Asinello la conferma elettorale di quanto vanno affermando i sondaggisti, ovvero di un calo nazionale della popolarita' di Obama dal 70 per cento dell'inizio del 2009 a una percentuale al di sotto del 50 per cento nel 2010, a nove mesi dalle elezioni di mid-term. L'ultimo sondaggio e' piu' ottimista: la popolarita' del presidente e' al 51%, trainata forse dalla determinazione e dalla rapidita' nelle decisioni mostrate da Obama nell'assistenza ad Haiti, colpita dal terremoto.
Stretto all'angolo in politica interna, complice una ripresa economica che stenta ad avviarsi, le scelte di politica estera appaiono le piu' delicate in vista delle elezioni di novembre.
- Iran. Il confronto con Teheran, mai facile per le amministrazioni americane dalla Rivoluzione khomeinista del 1979, e' complicato dall'onda verde del dissenso. La mano tesa di Obama agli ayatollah sul nucleare deve tenere conto delle aspettative di chi vede in Washington una sponda nella rivendicazione dei diritti civili. Per tutto il primo anno della presidenza Obama, gli iraniani hanno dilatato i tempi delle decisioni sulla proposta di un arricchimento all'estero dell'uranio. L'amministrazione Obama e' orientata sulle sanzioni, ma Russia e Cina, grandi protettori di Teheran, insistono sulla via diplomatica.
- Medio Oriente. Il processo di pace non ha fatto un passo da Annapolis e la nascita del governo di Beniamjn Netaniahu ha depresso l'entusiasmo della nuova amministrazione. Le due parti, irsraeliana e palestinese, non parlano piu' l'una con l'altra e la montagna dell'ambizione alla costruzione di uno Stato palestinese sembra aver partorito solo il topolino del congelamento temporaneo degli insediamenti di coloni. L'amministrazione Obama, irritata dall'intransigenza israeliana sul tema degli insediamenti e sullo status di Gerusalemme, non e' riuscita a evitare la delusione dei palestinesi moderati.
- Cina e Russia. Il rapporto con i due giganti e' articolato su tre grandi versanti: l'economia, i diritti umani e civili, la riduzione degli armamenti. Pechino e Mosca sono essenziali perche' fanno parte del Consiglio di sicurezza dell'ONU, ma entrambe scontano uno scarso rispetto dei diritti umani. La Cina e' destinata a superare gli Stati Uniti in termini di ricchezza, e questo potrebbe apparire come uno smacco per un presidente impegnato a raggranellare denaro per rilanciare quella che potrebbe diventare, per la prima volta nella storia contemporanea, la seconda economia del mondo.
- Quanto a Mosca, se a Pechino Obama trova un unico interlocutore, nella capitale russa a decidere sono due: Dimitry Medvedev e Vladimir Putin. Il primo anno della presidenza Obama ha registrato il feeling tra i due presidenti (e' vicina la firma del nuovo accordo Start sugli armamenti) e, al tempo stesso, il gelo con l'ex agente del KGB, oggi premier.
- Le Guerre. Washington lascia progressivamente l'Iraq nelle mani degli iracheni, e sposta definitivamente la partita in Afghanistan e nel Waziristan, la regione pachistana al confine del Paese da cui fu coordinato l'attacco alle Torri dell'11 settembre. L'aumento dei soldati (35.000 in piu') e l'uso dei droni, insieme alla strategia di dialogo con i talebani moderati, devono fare i conti con la debolezza politica del presidente afghano Hamid Karzai e con l'instabilita' del quadro pachistano.
Si sono aperti nuovi fronti nello Yemen e in Somalia, e Obama, pur attento a non imbarcarsi in nuove e dispendiose guerre, deve tener conto della minaccia terroristica che da li' plana sul territorio americano.
- La lotta al terrorismo. La strage di Fort Hood e l'attentato al volo Amsterdam-Detroit hanno mostrato falle nel sistema di sicurezza interno che Obama stesso ha definito "inaccettabili". E' forse questo il terreno su cui Obama si gioca la presidenza. Gli americani non sopporterebbero un altro 11 settembre e la coraggiosa decisione di di chiudere Guantanamo potrebbe trasformarsi, per il presidente americano, in un suicidio politico.