(di Fabio Greco) - Sette edizioni, 150.000 copie. "L'ipnotista" (Longanesi) di Lars Kepler (pseudonimo dietro cui si nasconde una coppia di coniugi svedesi) e' arrivato in libreria a gennaio scorso e tra i lettori e' ancora incantamento per un thriller che in molti hanno giudicato perfetto.
La trama, in breve. Erik Maria Bark era l'ipnotista piu' famoso di Svezia. Poi qualcosa e' andato terribilmente storto e per dieci anni ha mantenuto la promessa di non praticare piu' l'ipnosi. Fino a quando la polizia criminale non chiede la sua collaborazione per ipnotizzare Josef Ek, che ha visto massacrare la propria famiglia.
L'AGI ha intervistato Lars Kepler, ovvero i coniugi Alexander Ahndoril e di Alexandra Coelho:
D: La Svezia e' diventata la scena del thriller perfetto. Come e' successo, in un Paese apparentemente pacifico. Cosa svela, questa passione del pubblico, della societa' svedese?
R: La Svezia e' un paese abbastanza tranquillo, almeno non piu' violento di altri paesi. Crediamo che in ogni paese ci siano dei lati oscuri, che si tentano di nascondere sotto una superficie bella e accattivante, proprio come avviene per le persone. Forse in Svezia la distanza tra le apparenze e l'oscurita' che si nasconde sotto la superficie e' un po' piu' grande. Comunque la gente e' sempre stata attratta dalle storie tragiche, basti pensare agli autori dell'antichita', come Sofocle, Euripide o, perche' no, Shakespeare. I romanzi polizieschi sono un modo per confrontarsi con i lati oscuri delle persone. Chi legge un romanzo osa aprire la porta alla paura perche' sa che alla fine del libro potra' richiuderla.
D: Di fronte all'invasione di thriller e polizieschi viene il sospetto che non si tratti piu' di un genere letterario, ma di un modo di far soldi. E' cosi'?
R: Pensiamo soltanto che la Svezia abbia una lunga tradizione nel romanzo poliziesco, che da sempre ha anche la funzione di aiutare a capire e ad affrontare cio' che nella realta' ci spaventa. Possiamo parlare soltanto per noi stessi, ma non crediamo che si possano scrivere cinquecento pagine emozionanti soltanto per fare soldi. Per noi quello che conta e' scrivere qualcosa che ci interessa, trattare argomenti che non ci danno pace. Non pensiamo che si possa ingannare il lettore. Non funziona. E' necessario che l'autore abbia veramente a cuore cio' che scrive e se ne occupi in modo approfondito. Per noi scrivere un romanzo di questo genere e' stato incredibilmente stimolante, liberatorio e divertente.
D: Potete descrivere la suddivisione dei vostri ruoli (quello di Alexander Ahndoril e di Alexandra Coelho) nel lavoro di scrittura de "L'ipnotista"?
R: Molti scrittori che lavorano insieme si alternano nella stesura dei capitoli o si dividono i personaggi. Nel nostro caso non e' cosi'. Abbiamo scritto questo libro in modo organico, insieme in ogni passaggio. Se sfogliamo le pagine dell'Ipnotista non siamo in grado di individuare una sola frase scritta da uno solo di noi. E' stato un processo fantastico per noi, dal punto di vista creativo.
D: Vi piace qualche autore italiano? E perche'?
R: Abbiamo molti autori preferiti ed e' sempre difficile citare soltanto qualche nome. Comunque alcuni autori italiani che ci hanno davvero colpito, oltre ai classici, sono, tra gli altri, Umberto Eco, Alessandro Baricco, Antonio Tabucchi, Primo Levi.
D: Esiste qualche fondatore del genere thriller a cui vi ispirate o che, piu' semplicemente, vi piace?
R: La nostra fonte d'ispirazione principale per L'ipnotista e' il cinema. Abbiamo voluto scriverlo come un emozionante film d'azione. Per questo abbiamo usato il tempo presente e un ritmo incalzante, con continue svolte e sorprese.
D: Esiste la ricetta del thriller perfetto?
R: Non ci sono ricette, ma ci sono regole da seguire quando si cerca di suscitare grandi emozioni. Si deve rispettare il lettore, mantenendo sempre la logica di un'opera di fantasia: i misteri devono trovare una risposta e, se si scrive di fenomeni davvero gravi ed estremi, si deve fare in modo di concludere la storia con un lieto fine.