Mentre il Governo nomina il vertice dell’Agenzia per la sicurezza nucleare e si riaccende il dibattito fra il fronte del ‘no’ e quello del ‘si’, esce per le edizioni del Mulino il libro di Alberto Clo’ “Si fa presto a dire nucleare- Riflessioni di un nuclearista non pentito”.
Professore, lei ha vissuto da protagonista il periodo del referendum sul nucleare ed ora osserva il ritorno in auge di quell’energia con gli occhi dello storico e dell’economista: qual è il punto di vista contenuto nel libro?
Scopo di questo volume è duplice. Esporre, in una prima parte, le difficoltà che il nucleare va incontrando nei paesi ad economia di mercato. Nucleare e mercato, questa è la tesi, sono incompatibili. Elevatissimi investimenti, associati ad alta incertezza e alti rischi di mercato, sono insostenibili in un contesto concorrenziale e privatistico, ove dominano logiche finanziarie e aspettative di ritorno di breve periodo. Il nucleare cresce, per contro e di molto, nei paesi emergenti, ove dirigismo e intervento pubblico prevalgono sulle logiche e assetti di mercato. Lo attestano i dati sull’andamento delle centrali nucleari attivate a livello mondiale: tra 1970 e 1990 sono entrate mediamente in esercizio circa 17 centrali ogni anno; dal 1990 ad oggi meno di 2. . Il secondo obiettivo del volume, affrontato nella sua seconda parte, è di ripercorrere la travagliata storia del nucleare in Italia – una storia tipicamente italiana – non già per individuare colpe e responsabilità (come sempre eluse) della decisione di uscire da un’esperienza che pur tra molte contraddizioni ci vedeva in posizioni talora di eccellenza, ma per trarne insegnamenti per il futuro nel momento in cui si propone un ritorno dell’Italia al nucleare.
Quali sono i motivi che le fanno sostenere la difficoltà di un ‘semplice’ ritorno al nucleare e di un suo imponente sviluppo – come alcuni sostengono – nelle economie di mercato?
Innanzi tutto lo dimostra la pochezza delle iniziative, le difficoltà in cui si dibattono governi pur favorevoli a questa tecnologia, le magre prospettive di sviluppo: a metà 2010 appena 8 centrali erano in costruzione nel mondo industrializzato sulle 326 in esercizio (2%). Anche la svolta pro-nucleare di Barak Obama non sembra sortire gli effetti desiderati. A non crederci è lo stesso Department of Energy che prevede una sostanziale stagnazione della potenza nucleare contro un forte aumento di quella a metano, il cui contributo alla copertura della domanda elettrica è destinato a divenire maggioritario. E la ‘prova del nove’ dell’impasse del nucleare nel mondo industrializzato la si ha nel paese più nuclearizzato: la Francia. Secondo gli scenari governativi la potenza nucleare registrerà in futuro solo una marginale crescita a fronte di un fortissimo aumento di quella alimentata a metano e di quella eolica. Chi oggi si scopre tardivamente nuclearista, dopo aver magari contributo alla sua cancellazione nel nostro paese, dovrebbe spiegare le ragioni di questo impasse e spiegare come superarle. La propaganda non premia.
Cerchiamo di approfondire questo argomento trasferendolo nella realtà italiana: la pubblicistica favorevole al nucleare dipinge scenari fatti di energia a buon mercato e in grado di spezzare la catena delle importazioni dai Paesi produttori. Quali sono gli ostacoli all’atomo di cui non si parla?
Le ragioni sono economiche ancor prima che socio-ambientali. Il fatto, in sostanza, è che sono venute meno le condizioni che in passato avevano incentivato la costruzione di centrali nucleari. In particolare: aiuti di Stato, certezza della domanda, tariffe che assicuravano agli investitori una piena e certa redditività. Il volume ripercorre le quattro fasi in cui si può articolare la vicenda nucleare italiana: da quella pionieristica (sino al 1963) che ci vide tra i primi paesi al mondo a costruire reattori nucleari; a quella segnata dall’affaire Ippolito, uno dei primi eclatanti casi di malagiustizia nel nostro Paese, che interruppe per un decennio l’esperienza industriale; alla fase della grande illusione (1973-1987) che vide l’approvazione di faraonici Piani Nucleari che si risolsero in un immane spreco di risorse senza si costruisse una sola centrale; alla fase finale dell’uscita a seguito del referendum del 1987. Ripercorrere quella storia è importante per capire le vere ragioni di quel colossale fallimento nel momento in cui il Governo va proponendo un rientro molto ambizioso nel nucleare: con la prospettiva, fermamente sostenuta, di poter costruire 8-12 centrali nel giro di pochissimi anni. Più e prima di quanto vadano progettando gli altri principali paesi nuclearizzati.
Lei quindi invita ad un sano realismo nell’affrontare la questione nucleare; ma oltre ad indicare i problemi, quali sono le concrete prospettive di affermazione di questa politica energetica?
Il volume esamina i molti e complessi problemi da superare perché tale prospettiva possa concretizzarsi, pervenendo alla conclusione che, allo stato delle cose, essa non appare – nei tempi stretti in cui la si delinea – realistica, possibile, conveniente. Una prospettiva che richiede un lungo tempo, forse un’intera generazione, come quella che ci separa dall’uscita dal nucleare. Perché possa tradursi in un’effettiva scelta energetica e industriale è necessario pervenire alla definizione di una chiara, determinata, coerente strategia di lungo periodo con l’individuazione puntuale degli obiettivi che si intendono raggiungere; degli organismi, pubblici e privati, attraverso cui farlo; delle risorse finanziarie che lo Stato è disposto ad impegnare; delle politiche e degli strumenti di regolazione con cui si pensa di superare il trade-off tra nucleare e mercato. Una strategia che dovrebbe essere condivisa dagli opposti schieramenti politici onde evitare che ciò che una parte progetta ed avvia sia destinata ad essere distrutta dall’altra parte, come ammonisce la stucchevole vicenda del Ponte sullo Stretto di Messina.
Qual è, in conclusione, il messaggio che il suo libro lancia sul futuro del nucleare ‘made in Italy’?
Quello di non avere nessuna illusione di poter rimediare in breve tempo ai passati errori. Di illusioni nel nucleare ne abbiamo già patite troppe in passato, con immani distruzioni di risorse, perché se ne possano alimentare di nuove per il futuro.
Novembre 2010