Quattro maggio 1979: trent'anni fa iniziava l'era conservatrice, in Gran Bretagna e poi nel resto del mondo occidentale: una signora dal piglio churchilliano e dal robusto credo liberista vinceva le elezioni politiche e dichiarava la fine di tutto quello che era stato dato per acquisito fino a quel giorno. Nell'ordine: il welfare state, il potere dei sindacati, la progressiva integrazione del Regno Unito nell'Europa Continentale ed il fatto che l'agenda della politica fosse scritta, sempre e comunque, dalle forze progressiste e di sinistra. Quando giuro' da primo ministro Margaret Thatcher era la prima donna a ricoprire un incarico del genere in un paese del mondo sviluppato. Una femminista entusiata si fece fotografare a Trafalgar Square con il cartello: "Finche' ci saranno le donne a governare non ci saranno mai guerre". Quattro anni dopo la donna al governo veniva rieletta a furor di popolo sull'onda della vittoria nella Guerra delle Falklands. E rieletta lo sarebbe stata fino al 1990. Questo perche' Margaret Thatcher era, in questo, estremamente moderna, ed in politica non distingueva a seconda del sesso, ma delle convinzioni. E le sue le aveva saldissime. Tanto che, alla fine, non potendo dire in giro che avesse i baffi o altre forme di attributo la si denomino' "Lady di Ferro". Omaggio a lei e al Cancelliere Bismark (che ad essere messo a paragone con lei non si sarebbe certo offeso), e presa d'atto che la signora ci aveva saputo fare. Nonostante le previsioni. C'era infatti qualcosa di inverosimile nell'elezione, alla guida del partito conservatore prima e della Gran Bretagna poi, di Margaret Thatcher: donna venuta dalla piccola borghesia, radicale, priva di radici e persino di un seguito in seno al partito. Il suo curriculum vedeva un solo acuto: era stata ministro dell' Istruzione del governo di Edward Heath, altro conservatore anomalo. Maall'epoca si era distinta solo per la decisione di abolire la distribuzione gratuita del latte agli alunni delle elementari. Anche quando fu nominata primo ministro, dopo il terribile e cupo "inverno dello scontento" con i suoi continui scioperi, molti non la prendevano sul serio. C' era chi prevedeva che presto o tardi i maggiorenti del partito conservatore le avrebbero dato il benservito. Avvenne il contrario, e furono i maggiorenti a finire in pensione, come tanti vecchioni messi alla porta da una combattiva Susanna. Il fatto e' che Susanna era al passo con i tempi, tempi segnati dalla profonda stanchezza nei quadri medi ed alti della societa' (ma non solo essi) nei confronti di uno stato sociale ipersindacalizzato che aveva provocato la sclerosi del sistema economico. O almeno questo era il senso comune. Per questo fece breccia con la sua idea di Gran Bretagna, un paese che doveva affermarsi nel mondo con tutto il suo peso e attingere la sua forza da una cultura dominata dal mondo degli affari. Voleva che il paese tagliasse i ponti con il moderato corporativismo del passato recente, e con uno stato sociale sostenuto da tasse elevate e gestito da politici e sindacalisti che si riunivano al numero 10 di Downing Street mangiando panini e bevendo birra. Non a caso la Thatcher proveniva da una formazione scientifica: laureata in chimica prima che in legge, grande senso pratico ma totale assenza di senso della storia. Traduzione in politica: nessun senso delle tradizioni, in un paese in cui la tradizione e' alla base di tutto. A cominciare dalla tradizione del sindacalismo. Lei prese l'istituzione sindacale per le corna, ne spezzo' la resistenza e ne ridusse le velelita' la lumicino. Nel caso dell' Unione dei minatori, guidata da Arthur Scargill, si tratto' di vere e proprie battaglie combattute per le strade, in cui il governo Thatcher si accani' senza tregua finche' riusci' a vincere. Era piu' di un confronto muscolare: una battaglia ideologica. Dei quattro punti di forza del paese (la continuita' con il passato, l'eccellenza, la liberta' e la solidarieta') lei non salvo' nulla, in nome deklla realizzazione di un'economia dinamica e moderna. Nel suo credo l'eccellenza avrebbe continuato a prodursi spontaneamente, anche senza il sostegno pubblico. Quanto alla liberta', intesa come vita autonoma delle istituzioni, ai suoi occhi rappresentava un ostacolo al successo. Valeva solo quella individuale, teorizzata da John Locke ed Adam Smith. La solidarieta' invece era per lei un' economia con molte tasse, lasciata alla gestione dei sindacati. Undici anni dopo, quando una congiura di palazzo all'interno dei Tory la mise all'angolo (ma non furono i vecchioni, a farla fuori, bensi' una generazione di coservatori rampantelli ma senza charme ne' progetti) la Gran Bretagna era piu' ricca (in termini di Pil) piu' dinamica (nelle classi medio-alte), meno europeista. Nel frattempo aveva segnato la strada ad una intera classe dirigente mondiale. I repubblicani americani, innanzitutto, con Ronald Reagan. I neogollisti francesi, i popolari spagnoli, la Cdu tedesca e, in Italia, un imprenditore prestato alla politica che risponde al nome di Silvio Berlusconi. Solo loro? No, perche' tra i discepoli della Thatcher in molti mettono anche i comunisti cinesi e persino - e qui si capisce la portata della rivoluzione conservatrice del 1979 - i laboristi britannici. Il vero erede della Lady di Ferro non e' quel giovane scapestrato di suo figlio, che ogni tanto finisce sul giornale alla pagina questioni africane. E nemmeno Jose' Aznar, caduto su una questione di terrorismo mentre lei aveva saputo spezzare le reni all'Ira. Il suo vero successore e' stato Tony Blair. Lo dice uno dei principali intellettuali europei, Ralph Dahrendorf, che scrive: "C'e' da chiedersi se senza un premier come Margaret Thatcher Tony Blair sarebbe riuscito a mettere cosi' efficacemente in discussione le istituzioni britanniche, dalla Camera dei Lord alla Corte Suprema". Credere che Blair sia stato un progressista, insomma, e' come credere che le donne in politica siano garanzia di pace.
Maggio 2009