(di Daniele Atzori)
Per la seconda volta nel dopo-Saddam l'Iraq e' stato chiamato alle urne per scegliere il Parlamento e lo ha fatto con un'affluenza superiore al 62%. Il Paese arabo, che per piu' di trent'anni e' stato vittima di una delle piu' feroci dittature del XX secolo, sta oggi finalmente consolidando le proprie istituzioni democratiche. Il percorso non e' stato facile. L'intervento americano del 2003 aveva rimosso il regime di Saddam Hussein, ma le forze interessate a destabilizzare la regione (in particolare Al Qaeda e l'Iran) avevano soffiato sul fuoco delle tensioni tra le diverse etnie e confessioni religiose, spingendo il Paese nel baratro della guerra civile. Dopo anni di violenze, la decisione del governo americano di dare il via alla cosiddetta "surge" del 2007 ha rappresentato una svolta nella storia irachena. Il mutamento strategico ha avviato un percorso di faticosa, ma inesorabile, stabilizzazione della situazione politica e sociale. A questo proposito, il Kurdistan iracheno rappresenta un esempio particolarmente virtuoso. In molti temevano che la caduta del regime di Saddam Hussein avrebbe provocato l'implosione dell'Iraq e che le pulsioni indipendentiste del Kurdistan iracheno avrebbero di conseguenza destabilizzato anche la Turchia, dove vive una consistente minoranza curda. Nulla di tutto cio' e' avvenuto: il Kurdistan iracheno, per anni vittima delle repressioni e dei bombardamenti chimici di Saddam Hussein, si sta trasformando in un modello di democrazia e di prosperita' economica per l'intero Medio Oriente. Il Kurdistan, regione ricca di petrolio, e' riuscito ad attrarre consistenti investimenti stranieri in virtu' dell'assenza di tensioni etniche e religiose. Anche la Turchia ha compreso che, per prevenire scontri etnici al proprio interno, la strada migliore consiste nell'intessere relazioni diplomatiche e commerciali coi curdi iracheni. Delle 1.200 aziende turche oggi presenti in Iraq, il 90% si trovano nel Kurdistan iracheno. Nel 2008, il volume di affari tra Turchia e Iraq ammontava a 6 miliardi di dollari, dei quali il 75% era concentrato nel Kurdistan. I buoni rapporti tra Turchia e Kurdistan iracheno hanno anche significativamente contribuito a migliorare la situazione dei curdi in Turchia. Il Kurdistan autonomo sta quindi diventando una forza di stabilizzazione importante, anche in virtu' del proprio benessere. Quotidianamente, circa 100.000 barili di petrolio sono estratti dai giacimenti Taq Taq di Erbil e Tawke a Dohuk, nel Kurdistan iracheno. Il petrolio e' poi trasportato, tramite un oleodotto turco-iracheno, al porto turco di Ceyhan. Della pace giovano i curdi, ma anche la Turchia e l'Iraq.
Come afferma lo studioso curdo iracheno Mohammed Shareef su "Equilibri", la rivista della Fondazione Eni Enrico Mattei: "Gli sviluppi in Iraq hanno aperto nuove opportunita' per i curdi iracheni. Il Kurdistan sara' di sostegno agli Stati Uniti e ad altre forze occidentali, un luogo dove la democrazia, il libero mercato e la legge potranno prosperare, stabilendo un modello di successo da emulare nelle altre zone di questa regione." Nel resto dell'Iraq, la fine del regime di Saddam Hussein sembrava aver determinato l'apertura di un vaso di Pandora di tensioni interetniche. Al dittatore molti riconoscevano, se non altro, la capacita' di contenere tensioni e conflitti che, senza di lui, sarebbero esplosi. In realta', le tensioni tra sciiti e sunniti erano principalmente frutto proprio della discriminazione degli sciiti in favore dei sunniti ad opera del sunnita Saddam Hussein e del suo clan. Con la fine del regime di Saddam Hussein, l'Iran, con la scusa di difendere gli sciiti, aveva cercato di espandere la propria sfera di influenza. Allo stesso modo Al Qaeda, guidata da Al Zarqawi, si era eretta a protettrice dei sunniti. Entrambe le forze cercavano di spingere il paese nella guerra civile. Durante le elezioni del 2005, gli schieramenti politici seguivano ancora le linee delle confessioni religiose. Oggi, nel 2010, lo scenario e' ben diverso. Come afferma Abdul Rahman Al Rashid sul quotidiano arabo "Al Sharq Al Awsat": "I votanti hanno scoperto che la leadership religiosa non e' necessaria ne' per amministrare con successo ne' per l'integrita' politica, mentre a loro volta i candidati hanno scoperto che le tensioni tra le fazioni religiose non sono un gioco che puo' durare per sempre e che i votanti, sia sunniti sia sciiti, vogliono elettricita', acqua pulita e lavoro. Alla fine, tutti hanno capito che e' l'interesse nazionale a unire i votanti. Questo spiega perche' la democrazia e' utile in una nazione multi-etnica e multi-confessionale come l'Iraq. Gli interessi, non le confessioni, sono cio' che uniscono i cittadini, e i loro bisogni, i servizi locali, il miglioramento della propria vita e della sicurezza, sono molto piu' importanti delle faide storiche e religiose."
L'Iraq e' ancora occasionalmente agitato da violenze, che attraggono facilmente l'attenzione della stampa e dell'opinione pubblica. Ma in Iraq sta avvenendo un fenomeno ben piu' profondo: il consolidamento della prima vera e propria democrazia del mondo arabo. Nonostante gli occasionali scontri, fomentati da attori esterni che hanno tutto da perdere da una democratizzazione del Medio Oriente, la stabilita' sta permettendo agli iracheni di costruire la propria democrazia. Anche Marwan Bishara, analista di Al Jazira e forte critico dell'intervento americano, ha riconosciuto i grandi progressi dell'Iraq sulla strada della democrazia. Bishara sottolinea in particolare la tenacia con cui gli iracheni stanno ricostruendo il proprio paese. Sempre su Al Jazeera, Richard Grenell afferma: "Nessun paese del Medio Oriente da' oggi al suo popolo piu' liberta' di quanta ne dia oggi l'Iraq. Ogni settimana, sorgono nuove Ong; una societa' civile e' emersa per sfidare le decisioni del governo, domandare trasparenza e rappresentare le minoranze. L'Iraq ha una stampa libera che non ha rivali nel mondo arabo, libero accesso a internet e un esercito che sta diventando una forza con cui fare i conti nella regione piu' instabile del mondo. Se la molto giovane democrazia irachena e' ancora caotica, incompleta e imperfetta, e' attualmente l'invidia del mondo arabo." Nonostante i gruppi terroristici abbiano cercato in tutti i modi di distruggere la fragile pace, la giovane democrazia irachena ha dimostrato la propria forza e la capacita' di resistere alle spinte centrifughe. La costituzione federale del nuovo Iraq e' riuscita a mantenere unito il paese, dando autonomia alle diverse regioni. In questo modo, le tensioni etniche che minacciavano di lacerare il paese sono state incanalate nella costruzione e nel consolidamento di istituzioni rappresentative locali che non minacciano l'unita' nazionale. La nuova costituzione determina inoltre la presenza di pesi e contrappesi in grado di garantire la governabilita' del paese, allontanando nello stesso tempo la possibilita' di derive autoritarie. Pensare che la democrazia sia un concetto estraneo al mondo arabo e islamico e' un pregiudizio oggi smentito dai fatti: l'Iraq sta dimostrando la possibilita' dello sviluppo di una embrionale democrazia liberale nel cuore del Medio Oriente. Come ha scritto l'8 marzo Qubad Talabani, rappresentante della regione autonoma del Kurdistan: "Cio' che vedrete [dopo le elezioni] e' il complesso processo di come formiamo il nostro governo. Sara' confuso e certe volte potra' apparire caotico. Ma la disorganizzazione non prefigura il disastro: e' semplicemente il segno di un paese che continua la propria difficile transizione dall'oppressione alla democrazia". Il fatto che il 62 % degli iracheni abbia scelto di andare a votare e' gia' di per se' un segno di grande speranza per un paese ormai incamminato sulla strada della normalizzazione, della stabilita' e della pace.
Marzo 2010