L'ambasciata d'Italia a Kabul ha suggerito alle ong italiane che lavorano in Afghanistan di lasciare il Paese a seguito del deterioramento delle condizioni di sicurezza. Le organizzazioni non governative hanno risposto di "no" e hanno rilanciato chiedendo un chiarimento definitivo su azione militare e intervento umanitario, sulla base del Decreto di proroga delle missioni all'Estero in discussione al Senato. Intanto sul terreno il conflitto prosegue. "Una guerra infinita" la definisce il generale Fabio Mini, esperto di geopolitica e gia' comandante della missione Nato in Kosovo, per il quale il deterioramento delle condizioni di sicurezza "e' il risultato di un approccio politico-militare impostato sullo scontro di tutti contro tutti e quindi sulla non-vittoria".
Per Mini "deve imbarazzare e stupire il fatto che la situazione di grave insicurezza generata da una strategia perdente abbia indotto a mettere in allarme le ong e non a far riflettere le stesse autorita' politico-militari di Stati Uniti e Nato". D'altro canto, sottolinea Nino Sergi, segretario generale di Intersos,(ong che lavora nell'area di Herat insieme a Cesvi e Gvc), "nove decimi delle risorse impegnate in Afghanistan sono state utilizzate per l'azione militare, peraltro senza risultati tangibili, mentre solo un decimo per l'azione di ricostruzione e di sviluppo. Eppure ci si ostina a dire, in modo sfacciato, che i militari sono in Afghanistan 'per ricostruire'. Pare che non si voglia capire che se non si cambia radicalmente la strategia finora adottata, non saranno solo i talebani a cacciare gli stranieri, ma tutto il popolo afgano".
I contributi del generale Fabio Mini e di Nino Sergi si possono leggere per intero sul Focus di Agimondo.it, 'Exit strategy Afghanistan. Ma per le ong'