Una "perdita di tempo", come la definiscono i talebani, o la "misura del fallimento o del successo" della strategia occidentale in Afghanistan, come afferma Angela Merkel? L'esito della Conferenza internazionale sull'Afghanistan che si aprira' a Londra dipende da come i sessanta Paesi (tra cui l'Italia) che vi partecipano decideranno di affrontarla.
Prevale la fiducia(o la rassegnazione?) in un percorso gia' deciso quando l'amministrazione Obama decreto' il lancio del "surge" militare, ma solo alla fine si potra' dire se hanno avuto ragione i talebani, che hanno definito la conferenza un appuntamento inutile, o Angela Merkel, la piu' determinata a fare dell'appuntamento un punto di svolta in una missione che si protrae ormai da nove anni. "Non sappiamo se la nuova strategia avra' successo", ha detto il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, "ma sappiamo che quella vecchia ha fallito".
Alla vigilia della Conferenza il cancelliere tedesco ha avvertito che fissare una data per il ritiro militare dall'Afghanistan e' rischioso. "E' sbagliato fissare una data", ha spiegato dopo averne parlato a Berlino con il presidente Hamid Karzai, "perche' non possiamo prevedere cosa accadra' e non possiamo fornire ai talebani l'occasione per fingersi tranquilli e poi lanciare un attacco". Per la Merkel e per Karzai il successo della strategia afghana dipende dal "raggiungimento di un obiettivo" e non dal "tempo", e se e' vero che americani e tedeschi hanno fissato il 2011 come anno di inizio del rientro delle truppe in patria, e' altrettanto vero che per Karzai l'esercito afghano potra' avere il pieno controllo dell'Afghanistan solo nel 2014.
E' in questa cornice che il presidente appena rieletto presentera' un piano per il coinvolgimento civile e politico dei talebani moderati e di una sostanziale amnistia per gli afghani che deporranno le armi e vorranno rientrare nella vita civile. Karzai vuole sostanzialmente comprarseli, i miliziani talebani. E su quest'idea ha conquistato il sostegno tedesco: oltre a fornire altri 850 soldati, la Germania contribuira' con 50 milioni di euro a un fondo di 500 milioni di dollari il cui obiettivo e' dare lavoro e salariare centinaia di uomini che oggi combattono nelle file talebane. Gli aiuti allo sviluppo aumenteranno a 430 milioni di euro.
Non solo soldi, pero'. La strategia che vuole portare i talebani dentro quella che Robert Gates, capo del Pentagono, ha definito di recente "battaglia politica" e' gia' partita all'Onu. Il Consiglio di sicurezza del Palazzo di Vetro ha rimosso le sanzioni nei confronti di cinque esponenti del governo che fu scalzato dall'invasione americana del 2001. Tra i cinque, che comparivano nella blacklist delle Nazioni Unite, c'e' anche l'ex ministro degli Esteri Abdul Wakil Mutawakil: "Considero questo gesto una restituzione dei miei diritti umani", ha detto, "ma si tratta di un passo non sufficiente. Le Nazioni Unite dovrebbero cancellare dalla lista nera un rilevante numero di nomi e contribuire cosi' alla fine della guerra in Afghanistan". Gli altri quattro 'riabilitati' sono: Faiz Mohammad Faizan, ex vice ministro del Commercio; Shams-us-Safa, ex funzionario del ministero degli Esteri; Mohammad Musa, vice ministro della Pianificazione; Abdul Hakim, ex vice ministro delle Frontiere.
La lista nera contiene piu' di 140 nomi di talebani sospettati di contatti con al Qaeda, ma dopo nove anni di guerra il coinvolgimento di alcuni di loro nell'organizzazione di Osama bin Laden sembra essere venuto meno. E' a loro che si rivolge la conciliazione, ma qualcuno frena. Si tratta di Abdullah Abdullah, il candidato sconfitto da Hamid Karzai alle ultime presidenziali in Afghanistan, che ha chiesto un dibattito "trasparente" sulla riconciliazione con i talebani proposta dal presidente. "Sono favorevole alla riconciliazione", ha affermato l'ex ministro degli Esteri afghano dal Forum di Davos, in Svizzera, "non si puo' combattere all'infinito contro i talebani. Ma ci deve essere un dibattito nazionale, una politica nazionale. La societa' non e' solo il governo, serve trasparenza". In particolare per Abdullah occorre capire se si tornera' all'"Islamizzazione" imposta dal governo talebano fino alla cacciata nel 2001 e se a figure legate al terrorismo internazionale come il mullah Omar sara' permesso di entrare nel governo.
Hamid Karzai, dal canto suo, ha gia' convinto i Paesi confinanti e la Turchia. "Sosteniamo il processo di riconciliazione afghano e la reintegrazione dei talebani nel rispetto della Costituzione del Paese e con modalita' dettate e gestite dagli afghani", si legge nella nota diffusa al termine di una riunione a Istanbul a cui hanno partecipato Karzai e i suoi colleghi di Pakistan e Turchia e rappresentanti di Iran, Cina, Tagikistan e Turkmenistan. Teheran, pero', ha annunciato che a Londra non inviera' alcun rappresentante: la Repubblica Islamica resta diffidente di fronte al "surge" militare e alla capacita' dei Paesi della regione di avere un ruolo nel nuovo "grande gioco" asiatico. Dai russi, invece, arrivera' una proposta a costo zero per Mosca: ricostruire le infrastrutture progettate durante l'invasione sovietica, ma con i finanziamenti dell'Occidente.
L'incognita piu' grave resta il Pakistan: Islamabad emerge come possibile mediatore tra i capi degli insorti talebani e il nuovo governo del vecchio Karzai. L'intelligence pachistana starebbe cercando di trattare con la "shura di Quetta", la cupola talebana che da sempre agisce con il silenzio assenso dei comandi militari pachistani. "Non credo che il Pakistan metta in pericolo le proprie relazioni con i talebani", spiega perplesso Ahmed Rashid, analista e giornalista pachistano, "credo che continueranno a frenare la pressione statunitense". E se i politici e i civili talebani vogliono il dialogo, sottolinea una fonte dell'intelligence occidentale, "bisogna vedere tutto dalla prospettiva dei comandi militari degli insorti. Sono loro ad avere l'ultima parola".
Consapevoli di questo, il Consiglio dei capi talebani ha fatto avere alle agenzie di stampa internazionali una nota in cui si tratta la Conferenza come "una perdita di tempo...simile ad altre gia' viste in passato". Potrebbe, pero', essere una posizione retorica, pero'. Se fosse cosi', starebbero gia' facendo politica.
Gennaio 2010