Massimo Taparelli, marchese d'Azeglio (Torino, 24 ottobre 1798 – 15 gennaio 1866), fu uno scrittore, pittore, patriota e politico di orientamento liberale moderato, cugino di Cesare Balbo, dopo aver intrapreso la carriera militare - sul modello del padre - si dedicò alla pittura e alla politica.
Sincero patriota italiano, ma cosciente delle grandi differenze tra i vari regni d'Italia e deciso a rispettare i sovrani legittimi, era contrario ad una unificazione a sola guida piemontese e auspicava la creazione di una confederazione di stati sul modello dell'Unità tedesca.
Fu duramente attaccato per questo dai Mazziniani (e successivamente anche da Gramsci) e definito da Cavour suo "empio rivale" (in seguito, quest'ultimo lo costrinse a dimettersi).
Dopo i primi studi a Firenze, presso le Scuole Pie di Via Larga, a soli 13 anni venne ammesso alla facoltà di filosofia dell'Università di Torino, da dove uscì per entrare in Cavalleria ("Reale Piemonte").
Abbandonata la cavalleria per dissenso nei confronti della classe aristocratica, entrò nella fanteria (Guardia provinciale).
Incaricato di mansioni di segreteria presso l'ambasciata sarda a Roma, ivi decise di intraprendere la carriera artistica.
Tornato in patria, si dedicò prevalentemente alla politica.
Fu primo ministro del Regno di Sardegna dal 1849 al 1852, in uno dei momenti più drammatici della storia di quel paese (in seguito alla sconfitta subita dall'Austria).
Sarà senatore del Piemonte dal 1853.
L'11 luglio 1859 ebbe l'incarico di costituire un governo provvisorio a Bologna, dopo la cacciata delle truppe pontificie. Il 25 gennaio 1860 venne nominato Governatore della Provincia di Milano, carica che tenne fino al 17 marzo 1861 allorquando fu nominato il prefetto Giulio Pasolini.
Durante la sua vita si dedicò anche alla pittura ed alla letteratura, sia in veste di scrittore politico che di romanziere.
Da gaudente il nobile si guadagnò fra le dame di corte il nomignolo di "sporcaciun" mentre Francesco De Sanctis descrisse la sua attitudine come «un certo amabile folleggiare... pieno di buon umore». Queste connotazioni hanno posto in secondo piano le sue doti di politico che ebbe la capacitá di intravedere i limiti della riunificazione ("Abbiamo fatto l'Italia ora dobbiamo fare gli italiani"), della dirigenza sabauda (lasció la scuola di cavalleria per contrasti con l'aristocrazia) e che propose una sua soluzione sia dal punto di vista costituzionale (stato federale) che da quello economico (liberale).
Sposò poi Giulia, figlia di Alessandro Manzoni, ma l'unione non fu felice.
Durante gli ultimi anni della sua vita, trascorsi sul Lago Maggiore, si dedicò alla scrittura delle sue memorie, pubblicate postume col titolo I miei ricordi nel 1867. Massimo D'Azeglio morì a Torino nel 1866.
Opere
Tra le sue opere più famose si possono citare Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta (1833), che ottenne un grandissimo successo, e Niccolò de' Lapi, ovvero i Palleschi e i Piagnoni (1841).
A lui si deve anche lo scritto politico Degli ultimi casi di Romagna (1846), nel quale espone le riforme necessarie alla formazione del nuovo stato italiano; nel 1847 scrisse una Proposta di un programma per l'opinione nazionale italiana, e nel 1848 I lutti di Lombardia.
Molti dei suoi quadri, soprattutto paesaggi d'ispirazione romantica, sono conservati nella Galleria d'arte moderna di Torino.