L'AFRICA DEL CINEMA
ADV
ADV
L'AFRICA DEL CINEMA

CANNES, NOLLYWOOD SOGNA LA CROISETTE

Chic abbastanza per calcare la Croisette di Cannes certo non e’. Ma altrettanto certo e’ che l’industria del cinema africano, di strada ne ha fatta. Ancora non tanta per meritare il tappeto rosso, ma a sufficienza per sollevare polveroni tra villaggi e citta’ del continente. Con industria del cinema africano non vogliamo dire ‘La mia Africa’, ‘Hotel Rwanda’ o ‘Diamanti insanguinati’ pellicole che hanno regalato agli spettatori occidentali immagini di una terra spesso solo fantastica; ma film ideati, prodotti, girati e distribuiti in Africa. Questo tipo di cinema, seppur non sia privo dell’ambizione di varcare i confini del continente, ancora non ha la forza per confrontarsi con gli standard occidentali. A parte poche eccezioni (pellicole che seguono percorsi d’essai o festival d’élite) la parola d’ordine del cinema dell’Africa (e non sull’Africa) e’ arrangiarsi. Vuol dire che ogni anello che compone quella che da noi e’ la perfetta catena di un’industria ben collaudata, in Africa e’ improvvisato: attori dilettanti, registi autodidatti, sceneggiature spontanee, ambientazioni naturali, come cortili davanti a capanne e camere di albergo. E sullo sfondo budget ridottissimi. Ad apprezzare questo cinema sono in tanti, soprattutto per i temi trattati: scene di vita quotidiana come litigi familiari, faide tra clan, rituali magici, storie di stregoneria, amori non corrisposti, tradimenti e rivalse. Il motore di questa industria ha il suo centro in Nigeria, a Lagos in particolare.
Qui e’ nata negli anni Sessanta ed e’ esplosa negli ultimi vent’anni Nollywood: la risposta africana a Hollywood e alla piu’ giovane Bollywood indiana. Secondo uno studio dell’Unesco, nella classifica mondiale dei produttori cinematografici, gia’ nel 2006 Nollywood si posizionava seconda con circa 870 lungometraggi video annui, dopo India, che ne vantava poco piu’ di mille, e prima degli Stati Uniti che si limitavano a sfornarne la meta’ di quelli nigeriani. Oggi la produzione e’ aumentata fino a raggiungere i 1.200 lungometraggi l’anno, che vuol dire 100 al mese. Ma, anche se la quantita’ di pellicole e’ elevata, i costi sono molto ridotti: oscillano tra i 6.500 e 120mila euro ciascuna. Contenuti anche i tempi di lavorazione che non superano i due mesi, ma di norma si concludono in dieci giorni. Nel suo complesso Nollywood, che occupa oltre 270mila addetti, ha attualmente un giro d’affari di circa 115 milioni di euro all’anno. A pesare di piu’ sono i costi per gli attori: il cachet di una star locale puo’ arrivare fino a 9mila euro, a fronte di uno stipendio medio che supera di poco i 100 euro al mese.
La produzione nollywoodiana non si concentra solo nel quartier generale di Lagos, ma si estende anche alle altre aree geopolitiche della Nigeria, cioe’ la capitale Abuja, Onitsha, nel sud-est del Paese, e Kanu, nel nord. Questa spartizione ha forti riflessi su contenuti e linguaggi delle pellicole, che infatti si sviluppano seguendo storie e idiomi di quella precisa area etnico-politica. Nonostante il cinema africano si presenti ancora per certi aspetti grezzo, manifesta fortissime potenzialita’: secondo le stime del ministero dell’Informazione e della Comunicazione di Abuja, l’industria cinematografica nazionale (indotto incluso) potrebbe muovere un giro d’affari complessivo di quasi 2,5 miliardi di euro. “Sappiamo che abbiamo ancora tanto da imparare, ma gia’ oggi il cinema e’ una delle piu’ belle speranze del nostro continente e sogniamo che un giorno sara’ normale anche per noi passeggiare sulla Croisette”, dice Edwin Oike, un produttore nigeriano emergente. Tradotto in aspettative,oggi il cinema africano calca strade polverose. Il tappeto rosso e’ solo pochi passi piu’ in la’.


Contributi di Coumba Kane

ADV

CON ‘L’UOMO CHE URLA’ È TORNATA ‘LA MEGLIO AFRICA’

Dopo tredici anni di assenza l'Africa ha fatto il suo grande ritorno a Cannes nel migliori dei modi. Con 'L'uomo che urla', del regista ciadano Mahamat-Saleh Haroun, il cinema del continente si e' aggiudicato il Premio della Giuria. Haroun ha portato alla ribalta anche un Paese dell'Africa subsahariana che - a differenza di Senegal, Nigeria, Burkina Faso, Mali - non ha tradizioni cinematografiche: nel Ciad il settore non ha attenzioni ne' sovvenzioni dal governo locale, i film girati si contano sulle dita di una mano e le poche sale che c'erano sono state via via chiuse nel corso degli anni. Il film di Mahamat-Saleh Haroun ha come titolo un verso del 'Cahier d'un retour au pays natal' di Aime Cesaire, il poeta della negritudine: 'Un uomo che grida non e' un orso che balla'. Il film puo' inquadrarsi nel filone del dramma storico-popolare. Due gli eroi, non antagonisti, nel Ciad in guerra: un padre e il figlio. Il genitore, ormai in pensione, era maestro di nuoto in un lussuoso albergo della capitale Ndjamena, successivamente comprato dai cinesi. Lui vorrebbe che il figlio prendesse il suo posto, ma la legge lo vieta perche' i giovani devono rispondere alla chiamata alle armi.
Oltre a 'L'uomo che Urla' altri due film hanno partecipato al Festival: 'Hors la loi' (Fuorilegge), del franco-algerino Rachid Bouchareb; e 'Life above all' (La vita prima di tutto), del sudafricano Olivier Schmitz. Bouchareb, questa volta, non racconta il ruolo dei soldati africani nell'esercito francese durante il secondo conflitto mondiale, ma la guerra contro il colonialismo. Bouchareb evoca il massacro di Setif compiuto nel 1945 dai francesi con la complicita' dei coloni. Il film ha gia' provocato aspre polemiche in Francia: Lionnel Luca, un deputato della destra del presidente Sarkozy, lo accusa di essere "anti-francese" e "revisionista". Il sudafricano Oliver Schmitz, con un passato da aladino della lotta contro l'Apartheid sul grande schermo, ha presentato il suo 'Life above all', tratto dal best seller del canadese Allan Stratton. Fuori concorso, infine, sono state proiettate altre produzioni provenienti dal Maghreb e dall'Africa occidentale, come il documentario 'Benda Bilili!', la storia di una famosa band congolese. L'unica pellicola prodotta nel continente a vincere la Palma d'oro fu, nel 1975, 'Chronique des annees de braise', dell'algerino Lakhdar Amina. Gli anni Sessanta segnano l'esordio fortunato del cinema africano sulla Croisette, ma bisogna aspettare la decade successiva per raccogliere i primi frutti, con il senegalese Djibril Mambety Diop che, nel 1973, vince il Premio della Critica internazionale con 'Touki Bouki'. Nel corso degli anni, comunque, sono stati in pochi a ottenere importanti riconoscimenti a Cannes, cosi' come, del resto, nei piu' prestigiosi Festival internazionali. E' il caso del maliano Souleymane Cisse', che con 'Yeleen' (La luce), ha vinto nel 1990 lo stesso premio attribuito oggi ad Haroun. Dal 1997 in poi l'oblio, che ha portato diversi cineasti africani, tra cui il senegalese Ousmane Sembene, a denunciare l'indifferenza, e persino il boicottaggio, verso le produzioni subsahariane della critica e delle giurie occidentali.


Contributi di Coumba Kane

ADV

IL PAESE DEGLI STREGONI E L’IDENTITA’ NAZIONALE

Prima dell'indipendenza e della nascita delle cinematografie nazionali, l'Africa costituiva sopratutto una scenario ‘esotico’ per i film europei. Il cinema all'epoca del colonialismo aveva l'ambizione di porsi come ‘strumento di civilizzazione’ per un'Africa ritenuta ‘selvaggia e arretrata’. Titoli come ‘Dai cannibali’ di Martin e Osa Johnson (1928), ‘Dai bevitori di sangue, il vero viso dell'Africa’ di Baron Gourgaud (1932) e ‘Al paese degli stregoni e della morte’ di Maquis Waurin (1933) fanno emergere gli aspetti piu' distorti del colonialismo. Tranne pochi film etnografici, la maggior parte delle produzioni dell'epoca esaltava la ‘superiorita' della civilita' occidentale’. Con la conquista dell'indipendenza, i nuovi Stati nazionali cercano di trovare anche una propria dignita' culturale: il Burkina Faso crea nel 1961 una sezione 'cinema' al ministero dell'Informazione che sara' determinante per l'affermazione del cinema burkinabe'. In Senegal Ousmane Sembene, definito il 'padre del cinema africano', si impegna a descrivere un'Africa forte, orgogliosa della sua identita', senza tralasciare accenti di critica sociale. Formato a Mosca, Sembene fino alla sua morte nel 2007 realizza opere di denuncia sui maltrattamenti alle donne, come le mutilazioni genitali o la poligamia stessa.
Negli altri Paesi dell'Africa occidentale si affermano, negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, registi di qualita' come Souleymane Cisse' in Mali, Oumarou Ganda in Niger, Roger M'Bala in Costa d'Avorio, Abderrahmane Sissako in Mauritania. Il periodo d'oro del cinema africano e' comunque quello che va dagli anni Sessanta agli anni Novanta: nel 1987 il regista maliano Souleymane Cisse' ottiene il Premio della Commissione di Cannes per Yeleen ('La luce'), il doloroso percorso di un adolescente che si apre alla vita. Nel 1990, invece, e' il burkinabe' Idrissa Ouadraogo a essere premiato a Cannes per 'Tilai', una trasposizione di una tragedia greca nell'Africa contemporanea. Ma i 'giganti' del cinema africano, a parte l'eccezione nigeriana di Nollywood, non sono quelli dell'ovest: l'Egitto -che ha una lunga tradizione di cinema dalla fine del XIX secolo- il Sud Africa e il Marocco riescono a produrre tra i 10 e i 40 film all'anno. Poco, ovviamente, riguardo alle nazioni occidentali, ma tanto rispetto alla maggior parte degli Stati africani dove si girano al massimo uno o due pellicole all'anno.


Contributi di Coumba Kane

DAL REALISMO DEL SENEGAL ALLA ‘NOUVELLE VAGUE’ EGIZIANA

La cinematografia senegalese e' una delle piu' importanti e prolifiche dell'Africa. Si caratterizza per il suo realismo e per l'impegno civico e sociale. Il primo cineasta a distinguersi e' Paulin Soumanou Vieyra: nel 1955 realizza 'Afrique sur Seine', un cortometraggio sull'identita' culturale degli studenti africani a Parigi. Primo film prodotto in Africa occidentale, l'opera ottiene una grande eco anche perche' il regista sfida lo Stato coloniale che vietava ai senegalesi di girare film. L'altro protagonista della storia cinematografica del Senegal e' Ousmane Sembene, da molti critici e studiosi considerato il 'padre' del cinema africano. Sembene, anche attraverso la sua notevole produzione letteraria, dipinge i difetti della societa' senegalese, molto spesso comuni a quelli delle altre nazioni del continente: corruzione, condizione femminile, rapporti tra l'Africa e la Francia alla fine del colonialismo. Contribuisce a creare il Festival del cinema africano, il Fespaco. Subisce piu' volte la censura delle autorita' locali. Nella sua filmografia si ricordano: 'Le Mandat' (1968), commedia acerba contro la nuova borghesia senegalese, premiata al Festival di Venezia (Premio della critica internazionale), mentre con 'Ceddo' (1979) condanna le invasioni cristiane e musulmane in Africa (Il film e' censurato dal governo). 'Il Campo di Thiaroye' (1988) denuncia l'esecuzione di 35 soldati africani per mano dell'esercito francese nel 1944 (il film, censurato, vince il 'Premio speciale' al Festival di Venezia). 'Moolade'' (2003) evoca il coraggio di una donna che si oppone alla tradizione delle mutilazioni genitali. Altri registi come Djibril Diop Mambe'ty (Touki-Bouki, 1973), Samba Fe'lix N'Diaye e Mansour Sora Wade sono considerati dei grandi del cinema africano e senegalese

L’Africa contemporanea del Burkina Faso
Ogni due anni il Paese ospita il Fespaco, il Festival panafricano del film. Considerato come la 'capitale del cinema africano', ha sviluppato dagli anni Sessanta un cinema di qualita'. I registi piu' noti sono: Idrissa Ouedraogo e Gaston Kabore'. Ouedraogo con 'Yaaba' (1988), la storia di un adolescente che si apre alla vita, vince il Premio della Critica a Cannes e poi al Fespaco stesso. Nel 1990, con 'Tilai', una tragedia greca trasposta all'Africa contemporanea, fa il bis: Premio della Giuria di Cannes, del Fespaco e del Festival africano di Milano. Kabore', invece, viene premiato nel 1997 per 'Buud Yam' al Fespaco. Fondatore di una scuola del cinema, e' stato membro della giuria a Cannes, Venezia e Berlino.

I problemi e le sfide del Mali
Il cinema maliano e' dominato dalle personalita' di Souleymane Cisse' e di Cheikh Oumar Sissoko. Il primo firma 'Il vento' nel 1982 (premi al Fespaco e partecipazione a Cannes): parla della rivolta degli studenti maliani contro il potere militare. Con 'La Luce' (1987) vince il Premio speciale a Cannes. Il suo cinema racconta i problemi del Mali contemporaneo, in linea con l'impegno dello stesso Sissoko, noto per 'Il tiranno'(1995), premiato ai Festival di Locarno, di Milano e al Fespaco. Nel 1999 con 'La genesi' vince a Milano il premio quale migliore film.

Come e’ cambiata la societa’ egiziana A differenza degli altri Paesi in Egitto il cinema si sviluppa durante il periodo coloniale. Gia' nel 1896 i Fratelli Lumieres organizzano proiezioni in un hammam del Cairo, trasformato per l'occasione in una sala di cinema. I loro primi film, girati negli anni Venti, riscuotono un gran successo, tanto che gia' nel 1917 il Paese conta 80 sale. I registi sviluppano la commedia musicale che esportano nelle altre nazioni del Maghreb. Cantanti come Oum Kalthoum diventano celebrita'. Tra i cineasti contemporanei il piu' noto e' Youssef Chahine che nel 1969, con 'La terra', rende omaggio ai contadini egiziani (premiato a Cannes). Chahine firma film impegnati che oscillano tra autobiografia e forte critica storica e sociale. Alcuni sono stati vietati dagli islamici radicali. Negli anni Ottanta, invece, si impone la 'Nouvelle Vague', un genere che si contraddistingue per film meno impegnati che descrivono soprattutto scene di vita quotidiana. Il Paese attualmente produce circa 70 film all'anno. Il regista simbolo di questa nuova generazione e' Mohamed Khan che, con "Un uccello sulla strada" (1983) e "Il ritorno di un cittadino"(1986) racconta i cambiamenti sociali e culturali della societa' egiziana attraverso la storia di una famiglia comune.


Contributi di Coumba Kane

DISTRIBUZIONE, TRA CINEMA A DOMICILIO E FESTIVAL INTERNAZIONALI

Uno dei maggiori problemi del cinema in Africa e' la scarsissima presenza di sale cinematografiche. Problema che si fa ancora piu' grave in un continente dove oltre il 60 per cento della popolazione vive nelle zone rurali, mal collegate tra di loro. Le poche sale esistenti si concentrano principalmente nei maggiori centri urbani. Da qui il 'cinema a domicilio'. Gli abitanti di Sakoiba, un villaggio di 2.000 anime situato 300 chilometri da Bamako, in Mali, ogni anno aspettano il bus del 'Cinema numerico ambulante' (Cna), una ong francese: ad aprile, sul far della sera, qualcuno sistema uno schermo gigante al centro del villaggio e li' proietta un film africano. Si' perche' la finalita' e' dare alla gente la possibilita' conoscere il loro cinema e arginare cosi' la colonizzazione cinematografica dall'America o dall'India. Uno dei paradossi e' che le produzioni straniere inondano l'Africa, ma le pellicole locali non riescono a superare i confini dei singoli Stati. A esempio vedere un film ivoriano a Bamako e' praticamente impossibile. Dal 2001 la gente del Cna percorre di continuo otto Paesi dell'Africa occidentale e proietta una cinquantina di film all'anno.
Ogni quindici giorni, uno degli 80 villaggi selezionati ospita gli schermi ambulanti: per la maggior parte della gente questi spettacoli rappresentano il primo incontro con il cinema. L'iniziativa e' nata anche per permettere ai contadini, spesso comparse nei film girati nei loro villaggi, di vedere la pellicola proiettata nelle sale delle citta'. Cosi' ogni passaggio del Cna viene festeggiato come un grande evento: tutti, giovani e anziani, si ritrovano per assistere a una proiezione e poi commentare insieme lo spettacolo. I film selezionati, trasmessi in lingua locale, trattano temi sensibili come l'Aids, la condizione femminile, la corruzione, l'istruzione. Grazie al Cna, in nove anni oltre quattro milioni di persone hanno potuto vedere il cinema all'aperto. Nelle citta', invece, per favorire l'affermazione del cinema africano sono proliferati una ventina di Festival. Il piu' famoso e' quello panafricano di Ouagadougou (Fespaco), in Burkina Faso, fondato nel 1969 da un gruppo di cineasti, tra cui il senegalese Ousmane Sembene. Il Fespaco e' un punto di riferimento per l'intero continente, cui guarda con interesse anche l'Occidente. Alla promozione delle opere africane sono dedicati anche il Festival di Ouidah Quintessence in Benin e le 'Giornate cinematografiche di Cartagine' in Tunisia. Iniziative che pero' si esauriscono all'interno dei confini nazionali. Di film africani ne arrivano pochi ai Festival europei, sia perche' ritenuti dai critici internazionali ancora troppo "acerbi e immaturi", sia per la debolezza dei mezzi di produzione. I registi africani, al contrario, denunciano l'"indifferenza" dei Paesi industrializzati. Una prima risposta e' arrivata da Cannes dove da cinque anni, un mese prima del Festival, si organizza un evento per promuovere registi e sceneggiatori del continente. Dal 1991 anche Milano accoglie un festival del film africano, ora esteso anche ai Paesi sudamericani e asiatici.


Contributi di Coumba Kane

ARRIVANO LE ‘MODE’ STRANIERE, DILAGANO BOLLYWOOD E IL PORNO

Prima di invadere l'Europa e l'America, il fenomeno di Bollywood si era gia' imposto nelle case africane. Dall'inizio degli anni Ottanta i film indiani, copiati e venduti nei mercati tradizionali del continente africano, animavano i saloni delle famiglie locali. Anche se non capivano l'hindi, gli spettatori si identificavano senza scampo in queste storie d'amore impossibili e tragiche dove non ci sono scene di nudi o abbracci ose'. Per i motivi opposti, invece, le pellicole degli ex Stati coloniali non riportavano lo stesso successo di pubblico. "I film francesi sono troppi lenti e impudichi. Non si possono vedere in famiglia", racconta Abdu, un 26enne del Senegal. Sua sorella, grande appassionata di Bollywwod, ha un'impressionante collezione di film, dai primi VHS di scarsa qualita', ai piu' recenti DVD. Le approssimative traduzioni in inglese non costituiscono un ostacolo. "Mi sono ritrovata a capire l'hindi a forza di vedere i film in lingua originale, figuriamoci con l'inglese", racconta lei. Dall'estero arriva anche un altro tipo di cinema: il porno. I DVD, come le riviste, si vendono per le strade di tutte le capitali. Girati in Europa o in America, i film portano anche pratiche sessuali 'innovative' e mal digerite dalle donne. "Mio marito mi chiede cose che ha visto nei film. Sono umilianti per me perche' mi fanno sentire ancora piu' sottomessa", si lamenta Safia, una marocchina di 42 anni. Il dilagare della pornografia e' diventato un problema in diverse nazioni. In Camerun, nella regione di Yaounde', un prefetto ha vietato nel 2008 la vendita, la produzione e la copia di materiali pornografici per "proteggere la gioventu' dalla perversione". In Uganda le autorita' sono andate ancora piu' oltre: dal 2009 produrre o distribuire video porno puo' portare a una condanna fino a dieci anni di carcere.


Contributi di Coumba Kane

ADV