Sara Simeoni, i Giochi senza business della libellula azzurra
ADV
ADV
Sara Simeoni, i Giochi senza business della libellula azzurra
di Maria Letizia D'Agata
ADV
ADV
Non mi sono mai allenata per battere un record ma per me stessa. Ho superato il muro dei due metri. Ho fatto una prova dopo l’1,98 e ho pensato: 'tento', e ci sono riuscita”: Sara Simeoni salta, ricade sui sacconi, si rialza in ginocchio e batte le mani in segno di vittoria, piange, ce l’ha fatta. Era il 4 agosto 1978 quando a Brescia quella che è stata forse la più grande atleta italiana di tutti i tempi abbatteva il muro dei due metri saltando, prima donna al mondo, 2,01. Era il momento più alto di una carriera che le ha regalato l'argento olimpico a Montreal nel 1976, l'oro a quelli di Mosca nel 1980 e di nuovo l'argento alle Olimpiadi di Los Angeles 1984. Ma quanto ci è voluto per “scalare” quel muroe ottenere quel successo storico? “Non mi sono mai allenata per battere il record ma per fare le cose che volevo e farle come si deve", ha spiegato Sara Simeoni all'Agi in un'intervista che rientra in una serie realizzata con campioni olimpionici italiani del passato in vista dei Giochi di Rio.
"Volevo migliorare e quindi battere il record 1,97 indoor", rievoca l'ex campionessa veronese, oggi 63enne. "Ci avevo fatto un pensierino. In Finlandia e per scherzo ho fatto mettere su 2,01, e ho fatto una prova. Ho visto che non era impossibile… Quindi, quando mi sono trovata a Brescia su 1,98 ho avuto buone sensazioni di potercela fare, hanno alzato e io ho saltato 2,01.. Non mi sono allenata ad hoc quindi, diciamo che mi ci sono imbattuta. Poi agli Europei di Praga, superare i due metri era diventato fondamentale perché dopo Brescia, quella era la vera grande prova davanti a tutti. E ci sono riuscita ancora. Mi ricordo che mi chiesero a Brescia se ero sicura che avessero misurato bene, ecco perché Praga divenne il banco di prova”.
Sara è stata definita "l'ultima interprete di uno sport romantico", la sua figura longilinea e il suo sorriso timido fanno parte della nostra storia sportiva e della memoria degli italiani. La sua scalata al successo, però, fu lunga e faticosa: "Considerato il periodo, quella che era la nostra realtà e anche l’educazione ricevuta a casa…le mie erano tutte conquiste. A casa mi hanno insegnato comunque che bisogna impegnarsi per ottenere le cose e la determinazione veniva da quello.
Dopo le Olimpiadi di Monaco 1972 mi sono accorta che ero stata fortunata perché non mi ero allenata come le mie avversarie . Questo perché la mia fu una preparazione improvvisata. Dopo lo studio decisi di allenarmi come le mie avversarie ed ho fatto una scelta consapevole. I miei genitori mi hanno lasciata mentre i miei fratelli andavano a lavorare. Io, al contario facevo una cosa che mi piaceva e non volevo deludere la mia famiglia che mi aveva dato una sorta di privilegio rispetto agli altri. Così presi l’atletica come un lavoro e sono venuta a Formia, al Centro di Preparazione olimpica. Lì dovevo arrangiarmi, ero da sola, avrò avuto 22 anni . Dopo pochi mesi , sono andata a farmi gli europei indoor in Spagna e ho vinto. Lì ho capito che ero sulla strada giusta. Ma davvero, la mia famiglia mi ha aiutato tantissimo, non mi hanno mai ostacolata, venivano tutti a vedermi alle gare, era festa. I risultati erano un optional, da piccola non ci pensavo proprio che sarei stata la donna del record dei due metri, e invece...”.
Il ricordo piu bello? "Non faccio particolari distinzioni considerando ad esempio piu’ bello quello del record del mondo, la barriera dei due metri. Le gare erano tutte importanti. Anche i Giochi del Mediterraneo! La prima Olimpiade fu sicuramente entusiasmante: c’erano tanti atleti da ogni parte del mondo, c’era il villaggio olimpico… e mi convincevo sempre di più che dovevo continuare a dedicarmi all’atletica. Arrivai sesta. Non ci credevo ero felice: tre centimetri in più ed era il podio. E sul podio poi ci sono arrivata e ho fatto il record. A Mosca volevo la medaglia d’oro a tutti i costi. E l’ho avuta”.
Ma quanto sono importanti le Olimpiadi per un atleta? “Se devo essere sincera, oggi le Olimpiadi sono state un po’ snaturate perché è diventato tutto un grande business. Però con il fatto che ci sono tanti Paesi hai l’occasione per dimostrare davanti a tutti quanto vali, ci sono tutti i migliori. Erano un avvenimento che aveva dell’incredibile. Vedevi il pubblico che non aveva bisogno di esser e ammaestrato, per applaudire, applaudiva tutti. Invece oggi c’è anche chi dice applaudi questo e questo no. E’ brutto cosi!”.
Come è cambiato lo sport italiano? “ E’ cambiato tantissimo e si è molto mercificato. Lo sport deve essere qualcosa che piace e certe scelte si devono pensare bene. Io ho fatto rinunce e sacrifici e ma siccome mi piaceva non ne avvertivo il peso”.
Cosa consigliare ad una giovane atleta? “Certo, direi che si deve sacrificare, fare delle scelte ma deve anche stare tranquilla perché le soddisfazioni, su una cosa che ti piace, ripagano di tutto” .
Sara Simeoni dominò un'era dell'atletica in cui a primeggiare era anche un altro azzurro, serio e un po' musone come lei, Pietro Mennea, scomparso recentemente e che ha sempre considerato "una persona cara". "Ci siamo allenati dieci anni insieme a Formia, non c’era grande amicizia, era un po’ schivo", racconta, "non abbiamo mai mangiato insieme la pizza per dire. Come atleta era un grande professionista, uno stakanovista, era quasi esagerato, un super perfezionista. Ognuno cercava i risultati per conto suo e si alleneva al meglio per averli. Li abbiamo ottenuti”. L'unico rammarico, confida, fu il fatto che il grande sprinter di Barletta, recordman dei 100 e 200 metri, non si congratulò con lei per il suo primato mondiale.
Nostalgia? “Direi di no, perche’quando ho smesso stava cambiando tutto troppo velocemente e mi sono accorta che non aveva senso continuare, non faceva più per me, ne avevo abbastanza. Pensavo alla famiglia, quindi ci sono state altre cose. Sono soddisfatta di quello che ho avuto, per il mio lavoro per il mio impegno. Non mi ha dato niente nessuno. I miei risultati sono serviti anche agli altri. Credo di essere l’unico atleta medagliato che se sta a casa sua, insegno educazione fisica, cerco di motivare i giovani ed è difficile anche perchè ci vorrebbero le strutture adatte. A me lo sport ha dato molto, mi ha fatto capire che tante paure che avevo, come il senso di inferiorità, potevano svanire. Lo sport mi ha fatto crescere, mi ha dato sicurezza, il risulato, qualunque fosse, era la mia soddisfazione. Non avevo bisogno di andare dallo psicologo… e poi, a distanza di 30 anni, trovare ancora persone che per strada si fermano e si emozionano vedendoti è una bella soddisfazione. Quando ti alleni non ci pensi a tutto questo, non tieni conto che alle Olimpiadi per esempio avevi a che fare con i fenomeni dell’est. Ora a volte ci ripenso e mi rendo conto dell’importanza di quello che ho fatto….Incrocio le dita per tutti gli azzurri a Rio, a loro il mio in bocca al lupo”. (AGI)
ADV