R oma - "E' vero che fai parte dei musulmani neri?". La domanda fu buttata lì da un cronista del Miami Herald, sapientemente imbeccato. Era il 26 febbraio 1964 e il giovane 'sbruffone' Cassius Clay era diventato, la sera prima, il nuovo re del ring, conquistando - sfavorito 7 a 1 - il titolo dei pesi massimi. "Sono il più grande", aveva ruggito il 22enne neo-campione al termine del sesto round, quando la 'macchina per uccidere' Sonny Liston aveva gettato la spugna. Poi Clay si era andato a mangiare il gelato col suo grande amico, il controverso Malcom X, che aveva conosciuto 2 anni prima, e tutti si erano convinti che le sorprese fossero finite lì. Così nella Convention Hall di Miami, durante la conferenza stampa del dopo-match, la risposta del pugile arrivò come un pugno in faccia all'America cristiana: "Io credo in Allah e nella pace: adesso non sono più un cristiano, so dove andare e conosco la verità".
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La conversione fu accompagnata, poco tempo dopo, dal cambio del nome. Fu Elijah Muhammad, leader dei musulmani neri americani e suo mentore, a 'ribattezzarlo': via Cassius Clay, nome che "mancava di signicato divino", da quel momento in poi il 'fratello' pugile sarebbe stato Muhammad Ali. Una svolta ancora più significativa se si pensa che il diretto interessato aveva precedentemente confessato di amare molto il suo nome perché gli ricordava i gladiatori romani.
Il cordoglio del mondo nel giorno della morte, da Foreman a Trump
La stampa e l'opinione pubblica non la presero affatto bene. Jimmy Cannon, una delle firme celebri del tempo, espresse la rabbia generale affermando che il suo ingresso nella 'Nazione dell'Islam' (Noi), i cosiddetti black muslims, aveva trasformato la boxe in "uno strumento di odio di massa". E il padre, Cassius senior, gridò addirittura al plagio della mente del figlio. Ed Lassman, presidente della World Boxing Association, accusò Clay-Muhammad di essere "un danno per il mondo della boxe... e un brutto esempio per i giovani ovunque". Persino l'opinione pubblica nera fu scettica, se non apertamente critica, e Martin Luther King suggerì a Clay - come continuava a chiamarlo - di "passare più tempo ad allenarsi piuttosto che a parlare".
La fede di Ali, tuttavia, era salda. E quando Malcom, nella primavera del '64, decise di lasciare i musulmani neri, il campione si schierò dalla parte di Elijah che riteneva "il messaggero di Dio". Il viaggio in Africa, compiuto proprio in quel periodo, cementò il suo nuovo 'io'. Al punto che un suo amico del Noi, Osman Karriem, racconterà: eravamo ad Accra, in Ghana, e udimmo il suono di tamburi. Apparve una folla che si allineò sul ciglio della strada, gridando: "Ali! Ali!". In quel momento, spiegherà, "Cassius Clay scomparve e nacque Muhammad Alì".
Il percorso non sarà facile. Anche perche' Ali si rifiuta di combattere in Vietmam ("non ho niente contro i vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro..."), adducendo - tra l'altro - il suo credo religioso, e viene bandito per 3 anni dal ring. Riuscirà a ritornarvi nel '71 e, due anni più tardi, The Rumble in the Jungle, il mitico incontro con George Foreman a Kinshasa, lo consacrerà ancora una volta alla storia. In mezzo, nel 1972, il pellegrinaggio alla Mecca che ricorderà per sempre come una delle emozioni più forti della sua vita.
VIDEO - Lo storico incontro tra Alì e Foreman a Kinshasa il 30 ottobre 1974
Per approfondire:
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