Beirut - La guerra civile siriana, e l'immane tragedia umanitaria che ha prodotto, entrano nel settimo anno. Inizio' il 15 marzo 2011, in un Medioriente che viveva la temporanea speranza delle primavere arabe, con una serie di manifestazioni di piazza contro il regime di Bashar Assad.
Oggi i dati sono eloquenti. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, dal 15 marzo 2011 in Siria sono morte tra le 310.000 e le 440.000 persone: di queste quasi 100.000 sarebbero civili, di cui quasi 20.000 bambini e circa 10.000 donne maggiorenni. Gli sfollati sono 11,5 milioni (quasi la meta' della popolazione siriana prima della guerra), di cui 6,5 milioni all'interno della Siria e gli altri cinque sparsi nei campi profughi tra Turchia (2,7 milioni), Iraq (230.000), Libano (1,1 milioni) e Giordania (660.000). Il 2016 e' stato poi, secondo l'Unicef, l'anno peggiore, a partire dal 2014, per i bambini: ne sono morti 652 (e 647 feriti) - dei quali un terzo mentre si trovavano a scuola - circa il 20% in piu' rispetto al 2015.
Gli eventi degli ultimi 6 anni in Siria possono essere letti su due piani diversi. Su quello interno, l'esplosione del dissenso popolare e poi della rivolta contro un regime familistico e autoritario ha da una parte confermato il trend di richiesta di democrazia nell'area, dall'altra e' stato accompagnato dal 2012 - con l'inasprirsi del conflitto - dal risveglio del jihadismo qaedista, che nel tempo ha per molti versi monopolizzato la rivolta armata. Nel 2014, poi, ha fatto la sua comparsa ufficiale l'Isis, il sedicente Stato islamico.
In Siria oggi esiste una realta' frammentata sul piano militare e politico-amministrativo: ci sono le aree tornate sotto il controllo del regime, quelle ancora in mano all'Isis, quelle controllate dalle forze curdo-arabe ed una porzione nelle mani di forze ribelli diverse. Istanze diverse, in contrasto potenziale o palese tra loro: la volonta' di autoconservazione del regime, la nascita di realta' come quelle dei comitati popolari di quartiere per l'autogoverno di alcune realta' locali, il rafforzamento anche politico della componente curda, la riemersione del salafismo nella societa' civile, le pressioni di attori esterni.
C'e' chi sostiene che la Siria vada verso la federalizzazione ma ad oggi non e' possibile fare previsioni affidabili: non e' chiaro poi quale sara' il destino dell'Isis - che rappresenta un "brand" oltre che una forza politica e militare -, nato dalle ceneri di una branca di Al Qaeda (Al Qaeda in Iraq, fondata da Abu Musab al Zarqawi) nel 2006, a seguito del disfacimento dello Stato iracheno dopo l'invasione americana del 2003, e poi auoproclamatosi "Stato" nel 2014.Sul piano geopolitico, invece, ci sono meno sfumature. La guerra in Siria ha testimoniato il ritorno prepotente sulla scena internazionale della Russia - contestuale ad un parziale declino americano -, dopo due decenni di relativa marginalita'. Sono del 2015 i primi raid aerei di Mosca, a sostegno dell'Esercito siriano e delle milizie di Hezbollah. Da quel momento Damasco recupera gran parte del territorio - la "spina dorsale" siriana, da Damasco ad Aleppo - che oggi controlla.
La Russia e' intervenuta in Siria su richiesta del regime, ed il suo intervento si spiega sopratutto con la necessita' di preservare l'unico porto che Mosca ha nel Mar Mediterraneo, quello di Tartous. Secondo molti osservatori, tra cui l'ex generale russo Mikhail Khodarenok, le truppe di Damasco sono mal equipaggiate e indebolite da perdite e defezioni, e le offensive di terra vengono portate avanti ormai integralmente dalle milizie del Partito di Dio, da volontari iraniani e iracheni e da compagnie militari private, con il fondamentale sostegno aereo di Mosca, senza il quale probabilmente Assad non sarebbe in una posizione tutto sommato di forza. Anche l'Iran, che prima della guerra in Siria era un "gigante isolato", si sta affermando come potenza regionale, sia in Iraq che in Siria.
Infine, la questione curda: i curdi hanno combattuto contro l'Isis e al Qaeda sia in Iraq che in Siria, rafforzando sia la loro rilevanza militare che la loro reputazione agli occhi della comunita' internazionale. Sono pero' divisi: se i curdi iracheni guidati da Masoud Barzani hanno gia' da anni una certa autonomia amministrativa, e hanno ricevuto armi da russi, americani e iraniani sin da 2014 per combattere l'Isis, quelli siriani e quelli che vivono in Turchia sembrano avere un futuro piu' incerto. Futuro che dipende sia da quello di Assad e della Siria, che dalla posizione della Turchia, l'altro grande protagonista regionale in questa guerra, che si oppone da sempre all'idea di un'indipendenza curda e che avra' certamente un peso nelle decisioni che verranno prese sul destino di Damasco.
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