(AGI) - Perugia, 8 apr. - Giornalismo e comunicazione d'impresa sono due cose diverse, ma le aziende possono utilizzare le tecniche dell'informazione tipiche dei media tradizionali. La cosa importante e' che sia sempre chiaro da chi sia stato prodotto un contenuto. Di 'brand journalism' si e' parlato a Perugia, in occasione dell'undicesimo Festival del Giornalismo, in un incontro organizzato da Eni e moderato da Daniele Chieffi, responsabile social media management del gruppo. "Credo - ha dichiarato Marco Alfieri, responsabile media production Eni, in apertura della discussione - che nel mercato della comunicazione ci sia spazio per tutti, ma i giornali devono investire in innovazione: il New York Times, ad esempio, in tre anni ha cambiato completamente la propria struttura. Oggi ha una redazione di 1.300 persone di cui meno della meta' sono giornalisti; gli altri sono esperti di big data, comunicazione e social".
"Il brand journalism e' il giornalismo applicato a una marca e racconta sia quello che accade all'interno dell'azienda, sia la realta' dell'azienda sullo scenario sociale e di mercato. Il problema della credibilita' del brand journalism non c'e', se viene fatto rispettando i precetti deontologici della professione", ha affermato Diomira Cennamo, digital media advisor di Scomunicare, secondo cui "solo il 47% dei giornalisti italiani che lavorano nei media tradizionali crede nell'indipendenza della propria testata".
Per i puristi unire le parole brand e giornalismo e' quantomeno ardito, ma le aziende nell'era del digitale fanno sempre piu' informazione e si raccontano, creando contenuti, interpretando gli interessi del proprio pubblico. Per Carlo Fornaro, Ceo di Scomunicare, "il brand journalism e' una grande opportunita' perche' il digitale, pur avendo messo in crisi il cartaceo, ha creato una maggiore domanda di informazioni credibili e in Italia ci sono tante aziende che producono informazioni di qualita'". (AGI)
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