Con la travolgente vittoria del no al referendum ha perso anche il presidente del consiglio più social della storia d’Italia. Quello che aveva fatto precedere l’annuncio del suo governo da un tweet scanzonato mandato dal salone del Quirinale dove stava rivedendo la lista dei ministri (“Arrivo, arrivo” twittò per giustificare il leggero ritardo). Quello degli infiniti “Matteo Risponde”, le dirette via Facebook per chiarire direttamente i dubbi della gente senza la faticosa mediazione dei giornalisti. Quello delle direzioni di partito trasmesse in streaming sul web, anche quando le divisioni con la minoranza pd erano dolorose.
Arrivo, arrivo! #lavoltabuona
— Matteo Renzi (@matteorenzi) 21 febbraio 2014
Matteo Renzi premier è stato tutto questo. E in campagna elettorale anche di più. Aveva arruolato Jim Messina, un politico statunitense che è stato al fianco di Barack Obama e che secondo molti è stato determinante nella rielezione alla Casa Bianca del 2012 per l’uso sapiente dei social network e di tutti i dati che è possibile ricavare dagli elettori seguendo le loro conversazioni in rete.
Jim Messina va detto è una figura mitologica: nessuno lo ha mai visto in pubblico. Si sa solo che c’era. A dispetto della scaramanzia, visto che anche l’ex premier britannico David Cameron lo aveva reclutato per fermare il referendum sulla Brexit con i risultati che sappiamo.
Il comitato bastaunsì ha così messo in campo una strategia digitale impressionante, comperando tutte le parole chiave su Google, anche quelle degli avversari in modo da far comparire le ragioni del sì in cima ad ogni ricerca; individuando su Facebook e Twitter i cosiddetti influencer e gli indecisi per mandare messaggi personalizzati; producendo decine di video che però non sono mai diventati virali su YouTube.
Dall’altra parte non sono certo stati fermi. Il M5S è nato in rete come si sa, da un blog. Ma analizzando le conversazioni su Twitter per esempio (come ha fatto il team di referendati), è emerso con chiarezza che al centro della scena che ha spaccato un paese, c’erano due contendenti soprattutto: da una parte Matteo Renzi e dall’altra Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio. Un giornale-partito si sarebbe detto una volta. Un giornale che sa interpretare il malessere di una parte del paese, si può dire oggi. Chi ha seguito i social lo sapeva benissimo come sarebbe finita. Il no è sempre stato in vantaggio e il vantaggio aumentava man mano che diminuivano gli indecisi. Altro che rimonta.
Il premier che era arrivato con un tweet, è uscito di scena con lo stesso tweet: Arrivo, arrivo, ha scritto un’ora prima di presentarsi a Palazzo Chigi per il discorso della sconfitta. Mentre su Twitter due celebri espressioni renziane #staisereno e #ciaone diventavano lo sberleffo di chi ha vinto.
Grazie a tutti, comunque. Tra qualche minuto sarò in diretta da Palazzo Chigi. Viva l'Italia!
— Matteo Renzi (@matteorenzi) 4 dicembre 2016
Ps Arrivo, arrivo
In rete quando perdi così c’è una espressione definitiva: epic fail. Sconfitta epica. Ma esattamente 4 anni fa Renzi aveva incassato un’altra sconfitta epica, con Bersani alle primarie, e da lì era ripartito. Forse non è finita.