La flessibilità in Europa "ce la siamo presa, non ce l'hanno concessa". E sui conti pubblici le performance peggiori si sono registrate con i governi Berlusconi-Monti-Letta. Dei tre, però, è all'ultimo che Matteo Renzi invia parole di fuoco dalla sua Enews. Una risposta punto per punto a quanto sollevato nella giornata di domenica dal predecessore di Renzi a Palazzo Chigi, a cominciare dal congresso del Pd per arrivare all'Europa. "La linea dell'austerity ha caratterizzato l'Europa dal 2008 fino al 2014", aveva sottolineato Letta, "ma dal 2014, da quando è arrivato Juncker e con la politica espansionista di Draghi, l'Italia ha avuto margini di flessibilità molto larghi e la politica di Draghi ci ha consentito di risparmiare 33 miliardi sul costo del debito. A forza di raccontare la storia che era cambiata l'Italia, il governo non ha fatto tutte le scelte che doveva e ora si trova davanti a una manovra che è quella da cui noi uscimmo all'inizio della legislatura". Insomma, per Letta, la flessibilita' "è stata usata male".
"La flessibilità ce la siamo presa"
Renzi risponde senza citare direttamente il suo ex compagno di partito ma si limita a fare riferimento a "una corrente di pensiero secondo la quale noi abbiamo avuto dall'Europa la flessibilità e la abbiamo usata male: in realtà ce la siamo presa combattendo una durissima battaglia politica nel nostro semestre di presidenza, nel 2014", spiega Renzi che, poi, colloca il governo presieduto da Letta nel 'girone' di quelli che hanno contribuito al peggioramento del rapporto deficit/Pil in Italia. "La verità non è un optional", dice ancora Renzi, "i numeri sfatano una bugia virale di questi mesi. I momenti in cui i conti sono peggiorati sono quelli dei governi Berlusconi, Monti e Letta. In queste ultime settimane si parla delle scelte dei mille giorni in modo improvvisato, specie sul lavoro e sul bilancio pubblico". E se Letta invita Renzi a imparare la lezione del 4 dicembre, giorno della sconfitta del fronte del Sì alle riforme costituzionali, Renzi ribatte che, proprio da quel giorno, è cominciata l'impennata dello spread. Il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi, osserva l'ex segretario Pd, era sceso ai minimi nel momento del maggior sforzo riformatore del "governo dei mille giorni", con il Jobs Act e la riforma delle Banche Popolari.
Letta sostiene Orlando
Uno scontro aperto, quello fra i due inquilini di Palazzo Chigi, che si consuma anche sul congresso in corso nel partito. Letta, che non ha rinnovato la tessera al partito ed ha escluso di voler tornare alla politica attiva, annuncia di sostenere Andrea Orlando, "l'unico a voler riunire il partito". Matteo Renzi sottolinea l'importanza di "smettere di parlarci addosso, uscire" dal partito e "aprirsi all'ascolto" perché solo così "si può riprendere a respirare dopo l'apnea". Parole che arrivano in ore di forte preoccupazione, specie tra il campo orlandiano e i sostenitori di Emiliano, per i dati relativi ai congressi nei circoli. La deputata Pd Elisa Simoni, sostenitrice di Orlando, parla di "affluenza bassa" mentre Lorenzo Guerini, coordinatore della mozione Renzi-Martina, sottolinea che la partecipazione è superiore a quella del congresso 2013: 61 per cento contro 55. "Migliaia di iscritti stanno votando", dice Matteo Renzi, "discutendo le singole mozioni e finendo con l'esprimere una preferenza. A me sembra affascinante: la democrazia in azione". Parole che arrivano dopo i dati che parlano di un Renzi in vantaggio su Orlando, nei congressi dei circoli, sebbene la partita appaia ancora apertissima: "Il quadro in nostro possesso si basa sui risultati dei 593 circoli dove si è già votato (pari al 9,2% dei 6.453 complessivi) con una affluenza del 54,3%", spiega il coordinatore della mozione Orlando, Andrea Martella. "Le tre candidature hanno fatto registrare i seguenti risultati: Renzi 62.9% (11.616 voti), Orlando 33% (6.104 voti), Emiliano 4,1% (754 voti)".