(di Lucio Racano)
Il 2 dicembre del 1997 un missionario comboniano di 38 anni, romano, con una laurea in Teologia conseguita al Ggaba National Seminary di Kampala, in Uganda, fonda a Roma la ‘Missionary Service News Agency’. Padre Giulio Albanese e’ un testimone dei conflitti che insanguinano molti Stati dell’Africa, un conoscitore smaliziato degli interessi in gioco in quel continente ricchissimo di risorse. E’ una persona di grande fede, che ha visto -e spesso condiviso- le sofferenze terribili delle popolazioni che nelle periferie del "villaggio globale" sono flagellate da guerre, carestie ed epidemie. Ed e’ anche un giornalista che sa fiutare la notizia. In breve tempo la Misna, forte di una fitta rete missionaria, e di un manipolo di giovani giornalisti al ‘desk’ romano, si accredita nel mondo dei media, nazionali e internazionali, come fonte preziosa di informazioni dal Sud del mondo. Per molti aspetti si puo’ parlare di un fenomeno editoriale unico nel suo genere.
Padre Albanese, la Misna e' nata da un'ispirazione? e in che contesto e' maturato il progetto?
L’avventura della MISNA e’ stata una delle esperienze piu’ avvincenti della mia vita. Un progetto che, a mio avviso, ha rappresentato la declinazione della nuova era digitale applicata al mondo missionario. Un modo concreto, nel nome di Dio, "per dare voce a chi non ha voce". Ecco perche’ raccontarla, per come e’ andata veramente, potrebbe servire da stimolo e aiutare altri a seguirne i passi e magari a fare ancora meglio. MISNA nasce dal basso, come Google, Amazon, come tutte le grandi idee della rete: un pugno di "carbonari" fortemente motivato, a dispetto degli scettici. Era il 1997. In Italia Windows 95 era arrivato a ottobre di due anni prima. Mi vengono in mente le parole del 'profeta della rete', Nicholas Negroponte: "L'innovazione e’ inefficiente. Il piu' delle volte e’ indisciplinata, all'opposizione, iconoclasta, e si nutre di confusione e di contraddizioni. In sintesi, essere innovativi e’ il contrario di quello che i genitori di solito si aspettano dai figli, di quel che la maggior parte dei dirigenti spera per la propria azienda e di quel che i capi di Stato si augurano per i loro Paesi. E gli innovatori sono per lo piu’ insopportabili…". C’e’ del vero anche per noi missionari nella provocazione di questo grande esperto della comunicazione: mai come oggi e’ necessario ricercare percorsi innovativi nell’ambito della comunicazione sociale in chiave ad gentes.
Lei intui' la necessita' di un nuovo strumento di comunicazione. Come si mosse per realizzarlo?
In occasione del Secondo convegno missionario nazionale di Verona, a settembre del 1990, si avverti’ l’esigenza di metter su un’agenzia giornalistica missionaria intercongregazionale, che potesse lanciare in tempo reale le notizie sui Paesi del Sud. A quei tempi, mancando il supporto digitale, si pensava a un ufficio stampa in grado di trasmettere via fax comunicati ai mezzi d’informazione, a cadenza settimanale o addirittura quotidiana. Sta di fatto che le buone intenzioni rimasero tali per diverso tempo; alcune precedenti esperienze erano apparse eccessivamente onerose perche' le uniche fonti di entrata erano gli abbonamenti (scarsi o quantomeno insufficienti a coprire i costi) a un bollettino che conteneva i vari dispacci, spedito mensilmente ai lettori.
Lo scenario non era dei piu' favorevoli.
Per certi versi giustificato lo scetticismo che nella primavera del 1997 incontro’ il progetto MISNA, redatto da me su suggerimento di Eason Jordan, figura storica della CNN International. L’idea, che si sarebbe rivelata vincente, consisteva nel creare un network di fonti missionarie e del volontariato, disseminate nel Sud del mondo per raccontare quanto accadeva nelle periferie del villaggio globale. A ripensarci, leggendo oggi i comunicati per il decennale di MISNA, mi suona come la storia della fondazione di Roma, riscritta! E si’, perche’ quando sono partito con questo progetto avevo soltanto un computer collegato alla rete attraverso una linea mononumerica, bicanale. Poi tanta fatica, tante notti insonni, i primi acciacchi. Ma la Provvidenza si affaccia e ... nasce MISNA. Un atto d'Amore.
A quell'atto d'amore lei si voto' interamente e il tempo le ha dato ragione.
Trascorsi un paio di mesi il professor Sergio Pillon, che aveva creato il supporto web dell’agenzia, mi regalo’ due computer e fece installare software formato personale. Insomma, tentammo d’inventare il possibile perche’ a quei tempi, essendo gli accessi internet ancora una rarita’, erano pochi i missionari (superiori inclusi) che potevano consultare la MISNA 'online'. Con i finanziamenti che avevamo non avremmo neppure potuto pagare l’affitto di un box per l'automobile. McLink, il primo provider di Internet italiano ci regalo’ la connettivita’ e la banda; io dormivo su un'amaca appesa ai muri della redazione allestita nel seminterrato della casa dei comboniani a Roma. E' una storia che ho raccontato nel mio libro "Il Mondo Capovolto", nel capitolo 'La nascita di MISNA'. Poi, a poco a poco, sono arrivati i primi finanziamenti del mondo missionario.
Negli anni molte cose sono cambiate.
Credo che con le mie dimissioni nel 2004 sia finita un’era e ne sia iniziata un’altra. Ritengo che i 10 anni della MISNA debbano essere un’occasione per realizzare un sano discernimento. Sebbene la nascita di questa agenzia abbia rappresentato una tappa importante sul cammino dell’informazione missionaria, la sua storia costituisce anche la cartina al tornasole di una realta’, quella dell’editoria missionaria, ancora perfettibile.
Di che cosa ha dunque bisogno l'editoria missionaria per strutturarsi e consolidarsi?
Anzitutto occorre rinnovare l’impegno a mantenere alti gli standard di qualita’, valorizzando la professionalita’ dei laici. La loro presenza costante nelle redazioni e’ una garanzia di continuita' per tutte le testate che, com’e’ noto, sono sottoposte solitamente ogni quattro, cinque anni all’avvicendamento dei "direttori- missionari". Vi e’ poi l’aspetto economico che troppo spesso risponde a uno spirito di beneficenza, piuttosto che affrontato dagli editori di riferimento (gli istituti missionari) come si farebbe in una vera e propria azienda. Occorre pertanto investire risorse, con un'attenzione al delicato rapporto costi-benefici, che esige un’azione tipica delle imprese no-profit: riconciliare la diffusione del prodotto mediatico con la sfera dei valori.
Questa e' l'ambizione su cui giurano tutte le iniziative editoriali. Ma la realta' e' diversa. Come tenere fede a quell'ambizione?
E' possibile soltanto attraverso una fattiva comunione del mondo missionario sia con le chiese locali sia nelle relazioni tra gli stessi istituti ad gentes. L’eccesso di auto-referenzialita’ e’ una pericolosa miopia che indebolisce la visione d’insieme e penalizza la capacita' di progetto intercongregazionale.
C'e' una via che puo' essere percorsa da tutto il mondo dei media?
Oggi piu' che mai e’ necessario sollevare la questione etica nel mondo dei mezzi di comunicazione, affinche' sia data voce alla gente. Di certo e' una sfida che non puo’ essere disattesa nel suo complesso dalla Chiesa italiana, per il bene della missione.
Dicembre 2007