In un articolo pubblicato lo scorso 18 luglio, il Fatto Quotidiano ha messo a confronto le spese del Comitato per il No al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre, e quelle della campagna “Basta un Sì” del Partito Democratico. Viene evidenziata una proporzione di 40 a 1 (37 a 1, a voler essere precisi) tra i 14 milioni di euro spesi dal Nazareno per promuovere il Sì e i 375.962 euro del Comitato presieduto dall’avvocato costituzionalista Alessandro Pace e dall’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky a sostegno del No.
I numeri
Come dimostra un’analisi dell’Huffington Post sul rendiconto dei democratici per il 2016, “per la campagna del 'Basta un Sì' il Pd ha speso 11.671.873 milioni di euro”. Secondo poi un ulteriore approfondimento, sempre del Fatto Quotidiano, a tale cifra andrebbero sommate le spese sostenute dai gruppi parlamentari del Pd di Camera e Senato, per il referendum. Queste ammontano rispettivamente a poco più di 1,4 milioni (vedi pag. 22 del rendiconto Deputati PD) e oltre 800 mila euro (vedi pag. 3 del rendiconto Senatori PD). Dunque il totale arriva circa a 14 milioni, come affermato dal Fatto Quotidiano.
Il metodo
C’è tuttavia un errore di metodo che rende questo confronto impreciso. Il Comitato per il No che ha pubblicato il suo rendiconto non è stato l’unico soggetto a sostenere, anche economicamente, la campagna referendaria contro la riforma costituzionale. Così come il PD non è stato l’unico a sostenere quella a favore.
Ci sono pochi dubbi che i democratici siano stati i principali sponsor del “Sì” al referendum, affiancati da comitati minori come “Sinistra per il Sì”, “Centristi per il Sì”, “Liberi Sì” (ex centrodestra di ALA), “Insieme si cambia” (guidato da Giovanni Guzzetta), e “Moderati e centristi Insieme per il Sì” (Alfano, Lupi, Cicchitto etc.). Di questi gruppi non abbiamo trovato i rendiconti, e spesso i siti di riferimento risultano chiusi o non aggiornati da mesi come si può notare cliccando sui link allegati.Il fronte per il “No” ha invece avuto più sostenitori che hanno dato un contributo simile, inclusi diversi partiti politici.
Il fronte del No
Accanto al Comitato per il No di Pace e Zagrebelsky ha infatti operato un altro simile comitato, presieduto dall’ex presidente della Consulta Annibale Marini e sostenuto dalle forze politiche di centrodestra (Lega Nord, Fratelli d’Italia e Forza Italia). Non siamo in grado di verificare il rendiconto di tale comitato in quanto il sito di riferimento è irraggiungibile.
Tuttavia anche solo guardando i rendiconti delle forze politiche che hanno sostenuto il No, la cifra totale levita rispetto ai 375 mila circa presi in considerazione dal Fatto Quotidiano.
Ad esempio, Forza Italia ha speso circa 200 mila euro per le attività di comunicazione del 2016, in gran parte concentrate sul referendum (vedi pag. 15 del rendiconto). La Lega Nord ha messo per iscritto (qui scaricabile il rendiconto, si veda pag. 16) oltre 600 mila euro spesi in comunicazione nell’anno di riferimento e, secondo quanto riportato da Linkiesta che ha sentito via Bellerio, di questi circa 200 mila sono stati spesi per il referendum.
Anche Fratelli d’Italia ha contribuito economicamente alla vittoria del No, con un esborso – da rendiconto – di circa 50 mila euro.
Il gruppo parlamentare alla Camera del M5S, poi, ha speso 354 mila euro per finanziare la campagna per il No al referendum, secondo l’analisi di Repubblica sui rendiconti dei gruppi di Montecitorio per il 2016 e in linea con quanto riportato da Linkiesta e sui rendiconti pubblici sul sito del Movimento (si veda la Nota integrativa 2016). A questi vanno aggiunti quelli spesi dal gruppo al Senato (che non è ancora stato pubblicato) e le spese sostenute dalla Casaleggio Associati (la società legata blog di Grillo e al M5S tutto) nel 2016, che al momento non sono ancora state rese pubbliche.
Infine ci sono altri gruppi minori per il No, come “Scelgo No” (legato a D’Alema), “Comitato socialista per il No” (di Bobo Craxi) e “Comitato Popolare per il No” (cattolici di centrodestra). Il primo aveva annunciato un rendiconto, ma non ci è stato possibile reperirlo sul loro sito; è possibile sia stato inviato ai sottoscrittori. Anche del secondo ignoriamo le spese sostenute (potrebbero anche qui essere state comunicate solo ai sottoscrittori). Curioso poi il caso del terzo, il cui sito internet (linkato alla pagina ufficiale su Facebook) è stato trasformato in un sito di e-commerce.
Conclusione
Dunque, senza voler azzardare un conto totale delle spese dei due schieramenti – come abbiamo dimostrato mancano diversi pezzi per poterne fare uno corretto ed esaustivo -, e senza voler mettere in dubbio la sproporzione tra le risorse messe in campo dai due schieramenti - che appare evidente anche se mancano i numeri precisi -, ci limitiamo a qualificare come “parziale” il confronto svolto dal Fatto Quotidiano. Se si prendono in considerazione le spese del PD a sostegno del Sì, non si possono escludere le spese degli altri principali partiti dall’analisi delle spese a sostegno del No.
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