Roma - In occasione dell’apertura della conferenza degli addetti scientifici, il ministro degli Esteri Angelino Alfano ha dichiarato il 9 gennaio 2017 che “l’Italia è una superpotenza della cultura, della scienza, della bellezza”.
Per quanto riguarda la cultura, l’Italia vive senz’altro di rendita della sua storia straordinaria - dall’Impero romano fino alle epoche più recenti, passando per Umanesimo, Rinascimento e via dicendo. Se volessimo cercare un parametro misurabile per valutare questa caratteristica nostrana, il nostro paese è al primo posto nella classifica dei siti considerati dall’Unesco patrimonio dell’umanità: l’Italia ne ha 51, seguita dalla Cina, a quota 50.
Anche a livello di percezione delle persone, poi, il patrimonio culturale, storico e architettonico italiano è valutato come uno dei più ricchi, se non “il” più ricco, del mondo. Ad esempio un’indagine di US News - condotta su un campione di 16mila persone di 4 continenti ai quali è stato chiesto di valutare 60 Paesi - colloca al primo posto proprio il Belpaese per heritage (che potremmo tradurre come “eredità culturale”).
Ma non bisogna nascondere che, allo stesso tempo, l’Italia si piazza in fondo alle classifiche europee per investimenti in cultura e istruzione. Secondo i dati diffusi da Eurostat a marzo 2016, relativi al 2014, siamo ultimi nell’Unione europea per percentuale di spesa pubblica destinata all’istruzione (7,9% nel 2014 a fronte del 10,2% medio Ue) e al penultimo posto per quella destinata alla cultura (1,4% a fronte del 2,1% medio Ue), qui inclusa nella categoria “Recreation, culture and religion”.
Va solo poco meglio se si valuta la spesa per istruzione e cultura in percentuale del Pil, invece che del bilancio pubblico. Sul fronte dell'istruzione, l’Italia col suo 4,1% si piazza penultima, alla pari con Spagna, Bulgaria e Slovacchia, davanti alla sola Romania (3%). Per la cultura, l’Italia spende lo 0,7% del Pil, come il Regno Unito - penultimo a pari percentuale - e più della sola Grecia (0,6%).
Per quanto riguarda la scienza, poi, la situazione è solo leggermente migliore da un punto di vista delle classifiche europee. Nel rapporto annuale dell’Istat 2016, che cita dati Eurostat riferiti al 2013, l’Italia figura sedicesima su 28 per spesa totale per ricerca e sviluppo. Il maggior contributo alla spesa proviene dalle imprese che, secondo quanto scrive l’Istat, “anche nel 2014, da sole coprono oltre la metà della spesa complessiva (55,4%), seguite dalle università con il 28,4%”. Ma anche il contributo delle imprese, oltre a quello del settore pubblico, è largamente inferiore alla media europea.
Resta fortunatamente alto l’impatto a livello mondiale della ricerca scientifica italiana. Secondo la classifica del portale di indicatori SCImago Journal & Country Rank, valutando l’“Indice H”, l'indicatore che misura la produttività della ricerca con fattori come numero di pubblicazioni e citazioni ricevute, l’Italia (considerando il periodo 1996-2015) si piazza settima dietro a Usa, Gb, Germania, Francia, Canada e Giappone ma davanti a Paesi che spendono percentualmente molto di più in ricerca, come Svezia, Danimarca e Olanda.
Si può dunque sostenere che l’Italia sia, tutto considerato, una superpotenza nella cultura e nella scienza (per “la bellezza” ci rimettiamo alla saggezza popolare, per cui non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace). Allo stesso tempo pare evidente dalle classifiche europee come negli ultimi anni i vari governi italiani abbiano fatto decisamente poco per valorizzare, se non per salvare da un futuro più dimesso, queste straordinarie risorse.