di Nuccia Bianchini
Londra - A un po' più di settimana dal voto dell'8 novembre, la Corea del Nord ha fatto il suo primo, indiretto commento all'elezione di Donald Trump. E la Corea del Nord, ultima vera dittatura comunista rimasta nel mondo e peraltro dotata di armi nucleari, potrebbe essere la prima grana sul tavolo del nuovo 'commander in chief' se, come prevedono gli analisti, il regime effettuerà un nuovo test missilistico proprio in concomitanza dell'insediamento del presidente eletto alla Casa Bianca, a fine gennaio.
Gli organi ufficiali nordcoreani sono rimasti per giorni silenti sull'elezione di Trump, poi la Bbc ha scovato un riferimento in un lancio dell'agenzia KCNA, organo ufficiale del regime. Occultato in un editoriale in cui si chiedevano le dimissioni della presidente sudcoreana, Park Geun Hye -"destinata ad essere sepolta" dallo scandalo innescato dall'amica e confidente, Choi Soon Sil- la KCNA ha accusato il partito di governo a Seul, il Saenuri Party, di voler approfittare dell'"emergenza Trump" per distrarre il pubblico. Null'altro: solo un riferimento fuori contesto e senza dare alcuna spiegazione ai nordcoreani, che non hanno accesso alle notizie internazionali né tantomeno hanno seguito la 'corsa' presidenziale americana. Non è un comportamento sorprendente in un regime opaco e concentrato soprattutto sull'idolatria della dinastia Kim: quel che accade nel mondo esterno viene ignorato e tenuto accuratamente nascosto; e anche l'annuncio dell'elezione di Barack Obama, nel 2008, fu ritardato di tre giorni.
In realtà Pyongyang ha già chiarito che la sua linea rimane uguale a prescindere da chi sieda alla Casa Bianca e che l'obiettivo del dotarsi di un arsenale di ordigni atomici non è negoziabile.
Quel che è certo è che il tema nordcoreano sarà tra i primi ad arrivare sul tavolo del Presidente. Secondo gli analisti, Pyongyang potrebbe testare un missile balistico proprio nei giorni dell'insediamento del 20 gennaio. Un sinistro avvertimento: il regime non ha alcuna intenzione di metter da parte i suoi programmi nucleari e di sviluppo di missili balistici intercontinentali tra cui il Taepodong-2 che, con una gittata tra i 4.500 ed i 10.000 chilometri, può colpire l'Alaska. Un ulteriore elemento di tensione, specialmente per Trump ostile all'accordo sul programma nucleare iraniano, è la possibile presenza al test di un piccolo gruppo di esperti militari di Teheran, a conferma di una stretta relazione con Pyongyang su un tema delicatissimo.
Non è chiaro cosa voglia fare Trump. Nel complesso scacchiere geopolitico dell'Asia sud-orientale pesa anche il fatto che il presidente eletto in campagna elettorale aveva avvertito Giappone e Sudcorea, i due Stati direttamente minacciati da Pyongyang, di dover sostenere a loro spese la loro difesa. Non a caso il premier giapponese Shinzo Abe è corso a New York a incontrare Trump e tentare di riconfermare lo stretto legame tra Tokyo e Washington.
Trump ha già detto che vuole avvicinarsi al regime nordcoreano senza pregiudizi: pur avendo definito il giovane dittatore Kim Jong-un a più riprese "un pazzo", ha detto in campagna elettorale di esser pronto a incontrarlo per parlare del suo programma nucleare: "Gli vorrei parlare, non avrei alcun problema nel farlo". Un'apertura cui Pyongyang ha risposto a giugno definendolo un "politico saggio" e un "candidato presidenziale preveggente".
Pyongyang però ha chiarito che il suo programma nucleare non e negoziabile: lo ha fatto capire, conversando con i giornalisti alle Nazioni Unite, proprio il martedì delle elezioni americane il diplomatico nordcoreano Kim Yong Ho, sottolineando che non è importante chi sia al comando, ma "se gli Usa hanno intenzione di cambiare la loro politica ostile".
E' probabile che Trump voglia utilizzare la Cina e la sua stretta relazione con Pyongyang: in campagna elettorale ha detto che cercherà nuove sanzioni non solo per la Corea del Nord, ma anche per Pechino e per le aziende che continuano a fare affari con il regime di Kim: "Bisogna fare qualcosa con la Corea del Nord. Io farò in modo che la Cina ci rispetti perché ha un'enorme controllo sulla Nordcorea. Non lo dicono, ma è cosi". E mercoledì uno degli uomini del 'transition team', Ed Feulner, ha confermato che "il boicottaggio secondario" alle imprese cinesi che fanno affari con il regime nordcoreano è nell'agenda del presidente eletto.