Roma - Quando arrivò a Detroit nel 1972, la Siria che si lasciava alle spalle non era ancora quell'inferno di bombe e morte che è oggi. Ma per Yahya Basha, futuro radiologo, era sempre troppo instabile e turbolenta. Con lo sguardo rivolto all'Occidente fin da piccolo, era riuscito a partire alla volta degli Stati Uniti per seguire un corso di specializzazione e vivere quel sogno americano di cui aveva tanto sentito parlare. A quasi 45 anni di distanza, quel sogno sembra essersi rattrappito dietro muri e timori, ma lui non ha paura della nuova America di Donald Trump e dall'alto dell'impero di diagnostica costruito con tanta fatica guarda avanti, convinto che ci sia ancora spazio nella 'terra delle opportunità' per persone come lui. Sono infatti oltre 200 i rifugiati che negli anni hanno trovato impiego presso le sue strutture, in tanti hanno potuto pagarsi gli studi all'università e grazie ai suoi due magazzini, invia anche aiuti umanitari ai siriani vittime del dramma del conflitto.
"Gli Stati Uniti sono un Paese di rifugiati e migranti, praticamente chiunque proviene da qualche altra parte, di questo la nazione ha beneficiato e si è sviluppata, è divenuta ricca e potente, la più forte militarmente ed economicamente al mondo", ricorda dopo un incontro all'ambasciata americana a Roma sui benefici apportati dalle migrazioni. Di fronte all'incognita del nuovo presidente eletto, il repubblicano Trump, scelto al termine di una campagna elettorale segnata da scandali e insulti, Basha non si preoccupa. "Alla fine Trump è un imprenditore, farà quello che fa bene alle imprese del Paese - sostiene - Periodicamente le persone rivalutano il valore di qualsiasi politica", e "se fallisce non verrà rieletto". Le promesse incendiarie sui migranti come sui musulmani hanno suscitato reazioni contrastanti, ma sono "tanti i messaggi lanciati dal candidato repubblicano durante la campagna, non so quale sia quello che ha avuto più peso sull'elettorato". Fondamentale, sottolinea, resta il tema del "lavoro", su quello ci si aspetta una risposta dal nuovo inquilino della Casa Bianca.
E' stata proprio la molla occupazionale che ha portato Basha a lasciare la Siria all'inizio degli anni '70: "Fin da quando ero bambino volevo andare in Occidente a studiare, sentivo che lì c'erano delle buone opportunità, ho fatto domanda già quando ero alle superiori". Tra le opzioni, c'era anche l'Italia, ma alla fine la scelta per la specializzazione, dopo la laurea in medicina a Damasco, cade su Detroit, al Mount Carmel Mercy Hospital. E' il sogno americano che lo spinge a lasciare la città d'origine, Hama, ma conta anche il fragile contesto mediorientale, con una situazione "instabile e turbolenta, già allora con i timori per una guerra civile, tensioni e mancanza di democrazia e trasparenza".
In America si dà da fare, mette insieme tre lavori contemporaneamente, e' impiegato per "un paio d'anni presso alcune istituzioni per capire come funziona. Ma volevo un'impresa mia". L'occasione di mettersi in proprio arriva nel 1980, quando rileva un piccolo studio da un medico di origini tedesche che sta andando in pensione. Una partenza in sordina per arrivare ad avere oggi "una delle maggiori imprese diagnostiche del Michigan", lo Stato settentrionale dove si trova la più alta concentrazione di arabi-americani e circa 10mila sono d'origine siriana. "E' stato molto difficile all'inizio, e non posso dire che lo è stato perchè sono siriano. Anche il mio predecessore faceva fatica, ed era un tedesco naturalizzato americano, più vecchio e inserito. Ho lavorato molto duramente per convincere le persone a venire da me. Ma ho investito, comprato i macchinari più moderni, assunto lo staff e i dottori migliori, ho aperto varie sedi, parlato con i medici, ma non avevo molto successo, quindi mi sono rivolto direttamente ai pazienti".
La strategia ha funzionato, complice anche una crescente campagna mediatica su radio e tv che ormai ha raggiunto "un investimento annuale di 500mila-1 milione di dollari", e oggi la sua azienda, la Basha Diagnostics P.c., è al top. Ma lui non dimentica da dove è venuto e si impegna per i profughi così come per i siriani che sono ancora sotto le bombe. "Da sempre mi sento vicino alle persone che hanno bisogno di aiuto, negli anni ho assunto oltre 200 rifugiati con esperienze e provenienze diverse. Tra loro, autisti, commessi, addetti alle pulizie, centralinisti", ma anche tanti studenti che "grazie ai soldi guadagnati lavorando per me si sono potuti pagare gli studi all'università e diventare infermieri, tecnici, avvocati". A guardare i Paesi di provenienza, ne esce una fotografia delle tensioni e conflitti degli ultimi 30 anni: "Balcani, principalmente albanesi, bosniaci e serbi, qualcuno del Sud-Est asiatico e del Nord Africa, e più tardi Medio Oriente, con Iraq e Siria più di recente". La 'ricetta' per l'integrazione secondo Basha richiede una sinergia tra i vari attori in campo, "governo, comunità e imprese". Al sussidio per tre mesi che i migranti ricevono dalle autorita' si deve sommare l'impegno dei privati per dare loro "un'istruzione e una formazione in modo da trovare un lavoro".
Accanto a questo progetto di lungo periodo, Basha ha trovato tempo e spazio, anche fisico, per un intervento umanitario diretto a favore dei siriani che sono dovuti scappare dalle bombe. "Ho due magazzini: uno contiene medicine, generi alimentari e vestiti da inviare in Turchia, Giordania o Libano tramite organizzazione di dottori siriani. Un altro, più grande, è utilizzato principalmente per beni destinati ai rifugiati che vengono negli Usa e in particolare nel Michigan".