Quarant’anni fa, molto prima del terribile giorno delle Torri Gemelle, New York visse un altro incubo che ne segnò la storia: il gigantesco black out che riportò la Grande Mela, emblema della civiltà occidentale, a una temporanea barbarie da secoli bui. Fu una tormenta che colpì in meno di un’ora differenti punti della linea di alimentazione, originando una reazione a catena che l’impresa Consolidated Edison poté spiegare solo come “un atto di Dio”.
Alle 21 e 34 minuti del 13 luglio 1977, l’una dopo l’altra, le luci della città si spensero fino a lasciare nella completa oscurità otto milioni di persone. Un grande black out era già avvenuto nel ’65, lasciando migliaia di persone imprigionate in ascensore o nei garage, ma si trattava di un’altra epoca e qualcuno poté pure vivere l’esperienza con spirito ludico. Nel ’77, in una metropoli soffocata dal caldo, afflitta da una disoccupazione preoccupante, dalla pesante crisi fiscale e negli anni disillusi seguiti allo scandalo Watergate, c’erano tutti gli ingredienti perché il black out si trasformasse in una sospensione collettiva dei freni inibitori, nella parentesi di follia che ingenerò il più grande saccheggio della storia contemporanea.
Cominciarono subito saccheggi e razzie
Con la mancanza di corrente elettrica si fermò la metropolitana, chiusero gli aeroporti, tacquero le stazioni televisive, tacque la radio a eccezione dell’emittente Wimf, che mise i suoi dispositivi al servizio della polizia, mentre non bastavano i vigili del fuoco – sempre loro, gli eroi dei momenti bui dell’America, come sarebbe accaduto anche l’11 settembre 2001 – per liberare le persone intrappolate dappertutto, specialmente negli ascensori. Fuori, per le strade, scene da romanzo di Cormac McCarthy: persone vaganti con lanterne e torce elettriche, qualcuno senza una meta, tutti senza sapere quando l’incubo sarebbe terminato. Ma poco dopo l’inizio del black out già si attivavano i primi gruppi di saccheggiatori, ma anche molti lupi solitari, mentre cecchini impazziti per la paura o per la possibilità di dare sfogo a crudeltà represse sparavano alla cieca, mirando senza criterio a chi intravvedevano passare giù, nel buio.
Cosa può essere, in situazioni simili, più fragile delle leggi economiche? Se in poche ore, come fossero anni di crisi centrifugati nelle lancette di un orologio iperveloce, l’inflazione cresce a livelli inauditi: aumenta per moltiplicazione, durante il black out, il prezzo delle corse in taxi o di una lattina di Coca. Non è esagerazione cinematografica, è la realtà che ha messo in ginocchio New York.
Ci furono quella notte 4 mila arresti
Gli agenti di polizia fanno quel che possono e un’ottantina di loro restano feriti: sono quasi quattromila le persone arrestate, di massima saccheggiatori di negozi e ladri d’auto, ma non c’è più posto per metter gente in cella. Così riaprono di tutta fretta il cadente carcere Las Tumbas di Manhattan, ormai chiuso da tre anni, per contenere tutti. E ancora le sirene dei pompieri, che cercano di tamponare all’impazzata tutte le piaghe aperte nella Grande Mela: migliaia di allarmi incendio, di cui molti perfidamente falsi che distolgono i soccorritori dalle fiamme reali.
All’alba del giorno dopo, lo scenario generale è squallido, irreale per interi quartieri dall’est di Harlem a Brunswick. E la corrente elettrica tarda a tornare, la riparazione dei guasti alla luce del giorno richiede tempo comunque: sarà solo alle 22 e 39 minuti del 14 luglio, quando i newyorkesi si rassegnano a un’altra notte di paura, che le luci tornano a illuminare la Grande Mela e le coscienze dei suoi abitanti.