Trattamenti crudeli, inumani e degradanti inflitti alle donne. Non si parla di atti compiuti in qualche Paese in guerra in un continente lontano ma nella sviluppata, vicina e cattolicissima Irlanda. A lanciare il pesante atto d’accusa, il secondo in un anno, è stata la commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite che punta il dito contro la legislazione sull’aborto in vigore sull’isola, che proibisce l’interruzione di gravidanza anche in caso di stupro, incesto, malattia della madre, compresi i casi di feti con gravi malformazioni.
Il caso Whelan e la denuncia all’Onu
La vicenda scatenante che ha suscitato la denuncia dell’Onu è stata quella di Siobhán Whelan, una donna irlandese alla quale nel 2010 è stata negata l’interruzione nonostante fosse stata diagnosticata una sindrome fatale al feto che avrebbe portato alla sua morte già alla nascita o poche ore dopo. Un caso simile a quello di Amanda Mellet, costretta ad andare in Gran Bretagna ad abortire dopo una diagnosi simile. La sua storia costituisce un precedente dal momento che è stata la prima donna a essere risarcita (leggi qui) da Dublino per il trauma sofferto.
Dopo la denuncia presentata nel 2014 dal Centro per i diritti riproduttivi di New York per conto di Whelan, l’Onu si era espresso, sostenendo che il governo irlandese dovesse non solo indennizzarla per il dolore subito ma anche riformare la legge per legalizzare l’aborto ed evitare così il ripetersi di situazioni analoghe.
"Ho subito una violazione dei diritti umani"
Anche Whelan è dovuta volare nel Regno Unito per abortire, una strada praticamente obbligata giudicata da lei “molto sbagliata”: “Ritengo che alle donne e alle coppie debbano essere date le migliori cure possibili in patria in momenti così difficili, incluso se decidono di non portare a termine la gravidanza, e per questo ci dovrebbe essere uguale accesso a informazione di buona qualità e cure da parte degli ospedali in tutto il Paese”. “La commissione per i diritti umani – ha sottolineato – ha riconosciuto che quello che mi è successo è stata una violazione dei diritti umani, che le leggi sull’aborto in Irlanda possono causare alle donne intense sofferenze, violando i nostri diritti umani più basilari”.
Il rischio-suicidio e il controverso ottavo emendamento
Non è la prima volta che il tema finisce al centro dell’attenzione in Irlanda dove da tempo attivisti si battono per cambiare la legislazione vigente, che permette l’aborto solo in caso di pericolo di vita per la madre. Nel 2013 il governo, guidato dalla coalizione Fine Gael-Laburisti, aveva tentato di intervenire con il “Protection of Life During Pregnancy Act” che permette l’interruzione se la donna ha tendenze suicide o è considerata a rischio di togliersi la vita nel caso di una gravidanza portata a termine.
Proteste sono però arrivate dai medici che chiedono linee guida più chiare a fronte del rischio di poter essere chiamati a rispondere penalmente per la decisione di far abortire una donna: nella costituzione irlandese, infatti, l’ottavo emendamento stabilisce che il feto è già cittadino irlandese, con gli stessi diritti di una persona. Una campagna per abrogarlo con un referendum popolare è in atto da tempo e nel 2016 ci sono state manifestazioni, finora senza successo.
La vicenda della minorenne internata nel reparto psichiatrico
La possibile applicazione distorta del ‘Protection of Life During Pregnancy Act’ e dell’ottavo emendamento è stata messa in luce da un altro caso, venuto alla luce contestualmente alla denuncia dell’Onu: una minorenne, che aveva fatto richiesta di abortire, è stata rinchiusa in un reparto psichiatrico contro la sua volontà. Il suo nome non è stato reso noto ma la sua storia è stata rilanciata dal Child Care Law Reporting Project che segue i casi di assistenza infantile in ambito giudiziario.
Secondo quanto riferito dall’Huffington Post, lo psichiatra che era stato consultato nel caso della minorenne aveva convenuto che “la giovane era a rischio di auto-lesionismo e suicidio alla luce della gravidanza” ma che “questo poteva essere gestito con un trattamento”, ritenendo che “l’interruzione di gravidanza non fosse la soluzione per i suoi problemi in quel momento”. Mentre la minorenne, accompagnata dalla madre, pensava di essere diretta a Dublino per abortire, era stata internata in un’unità psichiatrica, per essere poi rilasciata qualche giorno più tardi da un giudice convinto che non soffrisse di alcun disordine mentale.
Come ha sottolineato Linda Kavanagh, portavoce della Campagna per il diritto all’aborto, “è difficile non pensare che in questo caso lo psichiatra, a causa dei suoi personali convincimenti, abbia essenzialmente usato il Mental Helath Act come uno strumento per forzare una minorenne a continuare una gravidanza indesiderata. E’ chiaro che abbiamo bisogno di un qualche processo che assicuri che medici con simili obiezioni di coscienza non possano bloccare l’assistenza medica tempestiva in casi critici”.
L’appello di Amnesty International a cambiare la legge
Per Gauri Van Gulik, vice direttore per l’Europa di Amnesty International, “la maggioranza della popolazione irlandese considera il divieto quasi totale di abortire crudele, inumano e discriminatorio”. Definendo “scandaloso che le donne debbano rivolgersi all’Onu per ottenere il rispetto dei loro diritti umani”, il responsabile dell’organizzazione umanitaria internazionale ha esortato Dublino a indire un referendum popolare sulla questione.
Poche settimane fa l’Assemblea cittadina, una forma di rappresentanza popolare interrogata dal governo su varie questioni pubbliche, aveva raccomandato la rimozione dell’ottavo emendamento dalla Costituzione e l’autorizzazione dell’interruzione di gravidanza in tutta una serie di circostanze, non solo in caso di pericolo di vita per la donna.
Il diritto all’aborto in Europa
L’Irlanda è una delle poche eccezioni in un Vecchio Continente dove il diritto ad interrompere la gravidanza è, con alcune differenze, sancito quasi ovunque. Tralasciando Malta e lo Stato del Vaticano, dove abortire è vietato sempre e comunque, legislazioni simili a quella irlandese si ritrovano in Andorra, Liechtenstein, San Marino, l’Irlanda del Nord e Polonia dove l’interruzione è illegale ad eccezione dei casi in cui c’è pericolo per la vita della donna.
Proprio in Polonia il tema era tornato al centro del dibattito politico l’anno scorso quando il Parlamento aveva approvato in prima lettura una bozza di legge che lo rendeva di fatto illegale, inasprendo la legislazione in vigore, già restrittiva, che prevedeva il diritto di abortire entro la 25esima settimana solo nel caso di pericolo di vita per la madre, stupro o grave malformazione del feto. Davanti alle proteste oceaniche che il progetto di riforma aveva scatenato, i deputati decisero di fare marcia indietro e lo bocciarono.