L'esercito egiziano non è più solo nella guerra al Wilayat Sinai, gruppo affiliato dello Stato Islamico che colpisce tra il Canale di Suez ed il confine con Israele. La rivolta delle tribù del Sinai segna un momento di svolta: l'Isis si trova bloccata nelle sue aspirazioni di espansione verso gli integralisti dell'Alto Egitto e della Cirenaica. E soprattutto perde un altro importante pezzo di quello che una volta era la più potente arma nelle sue mani: il consenso nei territori e nelle masse meno abbienti.
La scintilla nella tribù Tarabin
Tutto inizia lo scorso 29 aprile, con la chiamata alle armi contro i miliziani dell'Isis da parte della tribù Tarabin, una delle più importanti del Sinai: "Bisogna affrontare le invasioni immorali e terroriste della Nazione araba islamica, che prendono di mira la nostra gente e il nostro territorio, che violano tutti gli standard morali e umani e la tradizione islamica, il conflitto bussa alle nostre porte che una volta erano sicure, e l'inganno sta rubando la vita ai nostri ragazzi". Pochi giorni dopo, il 3 maggio, si passa dalle parole ai fatti: la tribù Tarabin annuncia l'uccisione di otto membri del Wilayat Sinai in seguito a scontri nell'area di Ajraa, oltre alla cattura di altri tre di loro, incluso Asaad al Amarin, un leader dell'organizzazione, responsabile del finanziamento e del reclutamento. Da allora altri clan hanno stretto una vera e propria alleanza con i Tarabin, che opra si trovano a capo di un fronte composito e forse anche instabile, ma micidiale se si tratta di combattere su un terreno difficile e in condizioni improbe.
Il difficile controllo delle armi
Tuttavia, questi sviluppi nascondono delle insidie. Sameh Eid, ricercatore indipendente, avverte: "E' molto pericoloso che le tribù del Sinai abbiano armi. Ciò determinerà magari delle vittorie momentanee (sull'Isis, ndr), ma nel lungo termine, i civili armati comprometteranno la stabilità dello Stato. Le armi dovrebbero essere in possesso solo della Polizia e dell'Esercito. Se le tribù vogliono affrontare il Wilayat Sinai con le armi, dovrebbero unirsi all'Esercito egiziano anziché agire in modo autonomo. D'altra parte se lo Stato approva l'utilizzo di armi da parte delle tribù, significherebbe che giustifica le uccisioni al di fuori della legge". In proposito, un portavoce dei Tarabin, Moussa al Dalah, sostiene che "nessuno dei membri delle tribù del Sinai ha usato armi contro l'Esercito. Le tribù del Sinai hanno subito ingiustizie da parte dello Stato, ma nessuno ha preso le armi contro di esso". Al Dalah continua: "L'ottanta per cento circa dei militanti di Ansar al Maqdis (gruppo affiliato all'Isis) sono stranieri, e solo una piccola parte viene dal Sinai, la parte peggiore del Sinai". L'Esercito egiziano non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione sulla chiamata alle armi dei Tarabin e sui primi militanti uccisi da questi ultimi. Quel che appare certo è che se il Wilayat Sinai continua a minacciare l'area, altri civili prenderanno le armi, e nel lungo periodo diverrebbe ancora più difficile per lo Stato tenere sotto controllo la situazione.
La posizione dell'esercito egiziano
Il possesso di armi è permesso con licenza in Egitto, ma le tribù del Sinai eludono quest'obbligo. L'Esercito in passato ha chiesto la loro riconsegna, ma solo pochissime tribù hanno aderito. Il Wilayat Sinai ha condotto in passato diverse operazioni contro le tribù del Sinai. Tra esse, si ricorda il rapimento di una donna nella sua casa ad aprile 2015, accusata di cooperare con l'Esercito egiziano. A novembre 2016, il Wilayat Sinai ha annunciato l'esecuzione di due sceicchi. Uno di loro era Suleiman Abu Haraz, un mistico sufi della tribù dei Sawarka. Il gruppo terroristico ha anche pubblicato delle foto dell'esecuzione, scatenando la rabbia delle tribù. Non va inoltre dimenticato che il Wilayat Sinai sta portando avanti una vera e propria guerra contro i Copti, spingendo migliaia di persone a scappare dalle loro case e dai loro villaggi.