E’ l’erede culturale dello svedese Stieg Larsson, l’autore della trilogia “Millennium”, venuto a mancare prima che i suoi libri diventassero dei bestseller mondiali. David Lagercrantz, 54 enne anch’egli svedese, ricevette l’incarico di scrivere il quarto libro della saga, che vide poi la luce con il titolo di “Quello che non uccide”. Dopo il sanguinoso attentato di Stoccolma compiuto, a quanto risulta finora, ancora una volta da un sostenitore dell’Isis, il Corriere della Sera ha deciso di intervistarlo per capire, da romanziere poliziesco, il suo punto di vista.
Del resto Lagercrantz aveva scritto la storia del figlio di un musulmano integrato con grande successo in Svezia e in Occidente. Stiamo parlando nientemeno che del calciatore Zlatan Ibrahimovic, cui lo scrittore ha dedicato la biografia “Io, Ibra”. Ecco dunque che l’interesse nel sentirlo parlare di quanto accaduto a Stoccolma cresce.
La Svezia di Lagercrantz
Il giornalista e scrittore ci tiene in primo luogo a smentire l’idea che talvolta viene suggerita dalla letteratura gialla scandinava: quella per la quale la Svezia sarebbe un luogo "oscuro e corrotto". Anzi per lui è un Paese “civile e non violento, lontano dalla narrazione dei thriller”. “Non lasciatevi fuorviare”, è il suo invito. E l’attentato di Drottninggatan non è la fine di tutto: “Dopo il panico, il terrore e il dolore, ho visto uscire il meglio della Svezia e degli svedesi”.
Con riferimento particolare “alla solidarietà, agli abbracci, all’aiuto reciproco scattato in automatico, spontaneamente, senza che nessuno ci chiedesse di non barricarci in casa”. La mobilitazione di solidarietà in piazza Sergels Torg è stato un grande momento per lui: “Il dramma e l’emergenza ci hanno uniti: questo è il lato positivo della storia“.
Il populismo dell'odio e della paura
Grande è la preoccupazione del giornalista e scrittore sul populismo. “Io temo che la propaganda politica di una certa destra, alimentata dai social, cavalchi il populismo galoppante, dando nuova linfa ai razzisti, agli estremisti, ai fautori dell’odio e della paura”. Così esprime i suoi timori. E questi cattivi sentimenti possono secondo lui fare presa anche nella civile e tollerante Svezia.
Si spinge persino a provare a capire cosa succede nella testa di un terrorista: “Quando sei senza speranza, fai cose estreme. Non tutti i casi di integrazione sono felici come quello di Ibrahimovic, che ha usato il calcio come riscatto sociale”.
Il terrorismo, conclude, non può essere il prezzo da pagare per aver scommesso sull’integrazione. Secondo lui non ce ne dovrebbe essere alcuno “quando non alzi muri contro la più grande emergenza umanitaria post Seconda guerra mondiale, l’esodo dalla Siria"