Fino a dieci anni fa, se avessimo letto un qualunque articolo su un quotidiano occidentale che parlasse di Iraq, avremmo certamente trovato il nome di Muqtada al Sadr associato al fanatismo, alla violenza e alle divisioni settarie. Dieci anni sono però lunghi in un paese in guerra dal 2003, e possono accompagnare le metamorfosi più impensabili. Quella del 43enne Moqtada al Sadr, chierico sciita, leader politico ed ex capo militare, ne è certamente un esempio paradigmatico.
In prima linea contro gli americani
Ad un osservatore superficiale di dinamiche irachene, il nome di Al Sadr evoca infatti il ricordo di una feroce milizia. L'Esercito del Mahdi, messo in piedi da Muqtada nel 2003 per combattere l'invasione americana, fino al 2008 accompagnò ad una fiera e determinata resistenza militare anti-americana azioni brutali e altrettanto cruente rappresaglie, sopratutto nei confronti della comunità sunnita, accusata di fungere da serbatoio naturale di "manodopera" per i gruppi jihadisti e anti sciiti come al Qaeda.
Nell'Iraq post-Saddam, diviso su linee confessionali, l'Esercito di Mahdi è stato a lungo uno dei principali protagonisti sul campo di battaglia, così come Muqtada è stato uno degli attori più influenti (e più bellicosi) di un Paese in preda al caos. Qualcosa cambia nel 2008, quando Al Sadr decide di smantellare il suo esercito. Inizia da lì la sua complessa evoluzione.
Un personaggio multiforme e misterioso
Muqtada, in realtà, è sempre stato un personaggio sui generis, multiforme e misterioso: punto di riferimento per gli strati piu' poveri della comunità sciita irachena ma allo stesso tempo promotore del dialogo interreligioso, dell'unità nazionale in un paese dilaniato; espressione delle strutture religiose sciite ma spesso disallineato alle posizioni politiche ufficiali delle Hawza (scuole religiose) di Najaf e di Qom (Iran), il "Vaticano" sciita; oppositore viscerale della presenza statunitense in Iraq ma non per questo mero strumento nelle mani dell'Iran, con cui spesso è stato in disaccordo.
L'ingresso in politica: "Siamo tutti iracheni"
Contestualmente allo smantellamento della sua milizia nel 2008, Muqtada, figlio del celebre Grand Ayatollah Mohammed Sadeq Al Sadr, rielabora l'eredità del padre e guida il movimento politico sadrista, che nel frattempo ottiene una quarantina di seggi in parlamento. Ma smette di rivolgersi solo alla comunità sciita, con cui comunque mantiene i legami più forti. In realtà già nel 2004, durante l'assedio americano sulla città sunnita di Fallujah, Muqtada aveva fornito aiuti ai residenti, e i suoi supporter cantavano slogan come "né sunnita, né sciita. Siamo tutti iracheni". Sui media, tuttavia, tendevano ad avere maggior risalto le azioni militari dell'Esercito del Mahdi.
Dopo lo smantellamento da parte degli Stati Uniti di tutti i quadri del Partito Baath iracheno (che lascerà milioni di disoccupati per strada, pronti in seguito a sposare la causa dell'Isis), nel paese prolifera una branca regionale di al Qaeda - che poi sfocerà nello Stato Islamico -, contro cui man mano le comunità sciite formano milizie paramilitari; il governo a guida sciita di Al Maliki, sempre più corrotto, non sembra in grado di assicurare gli equilibri confessionali, e di fatto le comunità tribali sunnite delle regioni centro-occidentali non riconoscono l'esecutivo di Baghdad, da cui si sentono abbandonate.
L'apertura alle altre fazioni
Muqtada al Sadr, musulmano sciita come il primo ministro ma da sempre personaggio anti-establishment, è il primo a promuovere il superamento del "sistema della quote" che, dalla morte di Saddam, ha attribuito posizioni di potere su base settaria; inizia poi a fare suoi i temi della lotta alla corruzione e al clientelismo, oltre che quello della necessità di un governo di tecnici, legati il meno possibile alle proprie comunità confessionali. Moqtada, chierico sciita, ex leader militare di una milizia settaria, inizia - appunto - a rivolgersi con frequenza alla cittadinanza, a tutti gli iracheni.
Una prima dimostrazione concreta la fornisce nel 2013, quando appoggia i movimenti di protesta anti-governativa delle comunità sunnite, prima avvisaglia esplicita della polarizzazione della società, e cerca di saldare le componenti curde in funzione anti al Maliki. Può farlo perché rimane uno dei pochi leader nazionali estranei alle manovre politiche quantomeno opache del governo, che nel tempo lo allontanano dalla società civile. Il suo proporsi come leader conciliante e trasversale, in forte contrasto con quello che era pochi anni prima, passa però ancora sotto traccia.
Una questione di reputazione
Quando scopre, nel febbraio 2014, che all'interno del suo movimento alcuni hanno votato per l'innalzamento degli stipendi ai parlamentari, annuncia a sorpresa il ritiro ufficiale dalla vita politica e lo scioglimento del movimento sadrista, per "difendere la reputazione della mia famiglia".
Una questione di reputazione. Concetto che nella tradizione sciita ha una particolare importanza: basti pensare che viene chiamato "esempio di emulazione" (Marja e-taqlid) il Gran Ayatollah che dimostra maggiore padronanza delle materie giuridico-teologiche, che si costruisce un pubblico più numeroso nei suoi seminari, e che raccoglie importanti somme di denaro attraverso le donazioni dei fedeli.
Sebbene formalmente al di fuori della politica nazionale, Moqtada al Sadr è molto diverso dal piu' importante ayatollah dell'Iraq, Ali Al Sistani. Quest'ultimo rappresenta nel dibattito pubblico la "Hawza al Samita" (Hawza silenziosa), che tende a perpetuare la tradizione quietista sciita, non intervenendo in modo deciso su questioni che esulino dalla religione. Muqtada è invece sempre stato capofila ideale della "Hawza al Natiqa" (Hawza che critica), seguendo le orme del padre ed entrando in politica col movimento sadrista.
La "Brigata della pace" schierata contro l'Isis
La violenta irruzione dell'Isis sullo scenario iracheno, con la proclamazione del Califfato nel giugno 2014, spinge il chierico sciita a rimettere in piedi la sua milizia. Ma le intenzioni, così come le circostanze, sono molto diverse rispetto a un decennio prima: circa 40mila volontari si arruolano nella Saraya al Salam ("Brigata della pace"), dislocata nei dintorni di Baghdad e di Samarra, con il solo compito di difendere i mausolei sciiti dalla furia dell'isis. La Saraya al Salam non è più, pero', espressione di settarismo, e si astiene anche dal partecipare all'assedio di Mosul.
Il passaggio di Muqtada da signore della guerra a leader politico dalle tendenze universaliste viene poi sancito in modo inequivocabile ad aprile 2016: il 16 del mese lancia un ultimatum di 72 ore al Parlamento per la nomina di un nuovo governo. Al parziale e insoddisfacente rimpasto deciso dall'assemblea, Muqtada risponde con la sua influenza socia politica: i suoi sostenitori - in modo tutto sommato pacifico - irrompono per la prima volta all'interno della green zone (emblema della distanza tra establishment e società civile) e occupano il Parlamento, costringendolo ad un cambiamento più concreto. L'episodio accresce il suo peso specifico nel panorama nazionale, pur gettando alcuni dubbi sulla sua reale natura
E' chiaro a tutti, però, che c'è una differenza tra essere un leader militare e un leader politico, per quanto mosso da uno spirito populista: sullo sfondo di un Iraq in perpetuo conflitto, Muqtada è cambiato in tutto, tranne forse che per la sua decisa ostilità alla presenza americana nel paese, che rimane un punto di attrito con il premier Haider Al Abadi.
L'irruzione in Parlamento
Lo scorso novembre ha messo per iscritto le sue proposte per il futuro dell'Iraq. Le "Initial solutions", un elenco di 29 punti, tra i quali spiccano alcuni che sarebbe stato difficile attribuirgli fino a dieci anni fa: oltre al sostegno alle popolazioni sfollate, nella lista viene ad esempio esplicitata la necessità di una riconciliazione nazionale, attraverso la cooperazione tra comunità sunnite e sciite. Propone inoltre la costituzione di un fondo gestito dalle Nazioni Unite per la ricostruzione e l'istituzione di una Commissione Onu per il monitoraggio dei diritti umani e la protezione delle minoranze, ai quali aggiungere un meccanismo per investigare i crimini di guerra. Ma, soprattutto, afferma chiaramente che "non c'è più posto per milizie settarie in Iraq".
La sua reputazione dialogante sembra essere confermata dalle dichiarazioni di tanti sunniti iracheni, come quella di Mahmoud Mashhadani, ex speaker del parlamento: "Muqtada è uno sciita vicino ai sunniti. Di tutti i leader sciiti è il più aperto al dialogo". Gli fa eco un traduttore sunnita di Baghdad, in condizione di anonimato, che racconta di come in più occasioni, le Brigate della pace di Muqtada abbiano impedito alle milizie sciite raccolte sotto l'ombrello delle PMU, di attaccare comunità sunnite.
I timori di un ritorno della violenza settaria
L'idea di Al Sadr è quella di inviare delle delegazioni tribali sciite in aree sunnite, per avviare congiuntamente la ricomposizione sociale ed eliminare le future tensioni settarie, che rischiano di riemergere una volta che il nemico comune - l'Isis - verrà sconfitto. "Ho paura che la sconfitta di Daesh sia solo l'inizio di una nuova fase di violenza. La mia proposta è stimolata dal timore di una riesplosione del confitto etnico e settario dopo la liberazione di Mosul", spiega Muqtada a Middle East Eye, nella prima intervista concessa ad uno straniero da tre anni a questa parte. "Vorrei che tutto ciò venisse evitato. Sono molto orgoglioso dell'eterogeneità dell'Iraq e ho paura che potremmo assistere a tentativi di genocidio di qualche gruppo etnico o confessionale", conclude.
Un'altra sorprendente collaborazione Muqtada l'ha avviata dal 2015 (sull'onda delle proteste anti governative) con le forze laiche e di sinistra, come afferma Riad Fahmi, segretario generale del Partito Comunista iracheno. "I sadristi ci hanno coinvolto nel movimento di protesta, chiedendoci semplicemente di aderire alla non violenza, di usare solo slogan nazionalisti, di non marciare con ritratti di leader politici, e di unirci nell'obiettivo di uno Stato civile".
Da capo militare a pacifista. Da feroce aizzatore di truppe a mediatore. Da leader politico-religioso polarizzante a promotore del dialogo inter settario. La parabola di Muqtada al Sadr è stata graduale, figlia di un personaggio di difficile inquadramento. Oggi i suoi progetti sembrano essere agli antipodi rispetto a quelli che aveva nei primi anni dopo la caduta di Saddam Hussein: ricomposizione delle divisioni settarie, protezione delle minoranze, cooperazione tra gruppi confessionali, lotta alla corruzione e al clientelismo ma, sopratutto, lo smantellamento di tutte le milizie del Paese, comprese le Saraya al Salam. Non male, per uno che nel 2003 ne inaugurò la proliferazione. Sarà lui l'uomo della riconciliazione irachena?