Un tempo erano i democratici, bersaglio di ogni strale perchè mettevano i bastoni tra le ruote a Donald Trump nel lungo e delicato meccanismo di ratifica delle nomine nella sua amministrazione. Ma da sabato il presidente degli Stati Uniti ha un nuovo nemico: il potere giudiziario.
Governo vs Giudici, uno scontro inedito
Uno scontro tutt'altro che inedito per gli italiani, ma piuttosto inusuale negli Stati Uniti, come inusuale è che un presidente si rivolga a un magistrato, addirittura federale, definendolo un "cosiddetto giudice". La pietra dello scandalo? Ancora una volta il bando agli immigrati da sette Paesi sospettati di ospitare ed esportare terroristi.
Ma andiamo per ordine.
Una settimana di proteste, poi la sentenza
E' passata una settimana da quando il presidente ha promulgato l'ordine esecutivo che trasformava in carta straccia centinaia e centinaia di visti di ingresso negli Stati Uniti bloccando l’accoglienza dei richiedenti asilo di qualsiasi nazionalità per 120 giorni, e sospendendo per tre mesi l’accesso al territorio americano per i cittadini di Iraq, Siria, Iran, Sudan, Libia, Somalia e Yemen, anche se in possesso di regolare permesso di soggiorno. Una settimana di proteste nelle strade, nelle cancellerie e da parte delle ambasciate, fino a che la questione non ha investito i tribunali e un giudice federale di Seattle non ha riconosciuto che il bando era incostituzionale, costringendo il Dipartimento di Stato a una clamorosa marcia indietro.
The opinion of this so-called judge, which essentially takes law-enforcement away from our country, is ridiculous and will be overturned!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 4 febbraio 2017
"Il parere di questo cosiddetto giudice, che in sostanza impedisce l'applicazione della legge nel nostro Paese, è ridicolo e verrà rovesciato!" ha twittato Trump di buon mattino, poche ore dopo che il giudice della Corte Distrettuale James Robart, messo lì dal presidente George W. Bush, ha deciso in favore degli avvocati generali dello stato di Washington e Minnesota su un procedimento che si opponeva al bando. La sentenza di Robart rappresenta la condanna più decisa del provvedimento su immigrazione e rifugiati firmato il 27 gennaio.
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Ma già prima aveva ventilato l'idea che il suo ordine esecutivo potesse essere respinto. "Quando un paese non è più in grado di dire chi può e chi non può, entrare e uscire, soprattutto per motivi di sicurezza, sono grossi guai" aveva twittato, aggiungendo: "Interessante il fatto che alcuni Paesi del Medio Oriente sono d'accordo con il divieto. Sanno che se certe persone sono ammesse portano con sé morte e distruzione".
When a country is no longer able to say who can, and who cannot , come in & out, especially for reasons of safety &.security - big trouble!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 4 febbraio 2017
Un linguaggio incendiario che era stato anticipato in una dichiarazione dalla Casa Bianca di venerdì sera poi precipitosamente corretta e ammorbidita, riporta Politico.com. "Nel più breve tempo possibile, il Dipartimento di Giustizia intende presentare un ricorso urgente contro questa sentenza scandalosa per difendere l'ordine esecutivo del presidente, che a nostro avviso è lecito e appropriato" si leggeva nella nota, poi corretta per eliminare la parola 'scandalosa'.
Eppure l'attacco di Trump non è il primo contro un giudice reo di averlo sfidato, scrive Politico.com. Durante la campagna presidenziale, Trump ha ripetutamente inveito contro il giudice distrettuale Gonzalo Curiel che presiedeva cause civili contro le presunte frodi alla Trump University, l'ateneo che, nelle intenzioni del suo ideatore, doveva insegnare a diventare ricchi. Trump mise in dubbio l'imparzialità del giudice per il "conflitto di interessi" rappresentato dalle sue origini messicane.