Pechino - Cina e Stati Uniti si avviano verso la successione. In attesa del risultato delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, a Pechino comincia oggi il sesto plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, da cui molti si attendono indicazioni in vista della successione al vertice che verrà sancita il prossimo anno dal Congresso del Partito. A cambiare saranno cinque dei sette dirigenti del Comitato Permanente del Politburo, il vertice del potere, a capo del quale siede il presidente e segretario generale del partito, Xi Jinping, che invece rimarrà saldamente a capo del partito e dello Stato.
Se per il rinnovamento della classe dirigente a livello nazionale bisognerà ancora attendere, il processo di selezione dei nuovi leader è già cominciato a livello locale: dalla seconda metà di agosto in avanti, si sono consumati gli avvicendamenti al vertice di alcune province e città con status di provincia, come Tianjin. Il nuovo inquilino della Casa Bianca dovrà fare i conti con una Cina sempre più attiva sul palcoscenico internazionale che si candida a essere una "potenza responsabile" nel ventunesimo secolo. "Chiunque vinca sarà duro con la Cina, per via soprattutto della competizione economica sul piano internazionale. Il nuovo presidente vorrà dare l'immagine di un leader forte con i competitors internazionali, come la Cina", spiega all'Agi Bo Zhiyue, direttore del New Zealand Contemporary China Research Center, docente di Scienze Politiche alla Victoria University di Wellington e curatore del saggio "China-Us Relations in Global perspective", edito dalla Victoria University Press.
I due candidati alla Casa Bianca hanno, però, approcci diversi alla Cina. Trump viene generalmente visto come più populista, mentre Clinton e' un volto noto per la politica di Pechino, caratteristica che sembra giocare in suo favore per i cinesi, almeno sulla carta. Un sondaggio del Pew Research Center pubblicato il mese scorso vede Hillary Clinton preferita dai cinesi rispetto a Donald Trump come nuovo presidente degli Stati Uniti: l'ex first lady ha totalizzato il 37% dei consensi tra coloro che hanno risposto al sondaggio, mentre Donald Trump, molto meno noto al pubblico cinese, solo il 22%. Il populismo di Trump ha già attratto anche l'attenzione della politica cinese. Ad aprile scorso, il ministro delle Finanze cinese, Lou Jiwei, lo ha definito un tipo "irrazionale", da non prendere sul serio sulla proposta di applicare forti dazi al made in China. In tempi piu' recenti, il primo ministro cinese, Li Keqiang, ha preferito, invece, non sbilanciarsi sul candidato preferito da Pechino nella corsa alla Casa Bianca, durante la sua permanenza a New York, a settembre scorso.
La doppia transizione (anche se a un anno di distanza l'una dall'altra) sulle sponde del Pacifico è gia' materia di dibattito negli Stati Uniti. Le incognite sul futuro delle relazioni tra Pechino e Washington sono state discusse solo pochi giorni fa, il 12 ottobre, durante una conferenza al Chicago Council on Global Affairs da uno dei maggiori esperti di politica cinese negli Stati Uniti, Cheng Li, direttore del John L.Thornton China Center, senior fellow di Politica Estera presso la Brookings Institution e autore del saggio "Chinese Politics in Xi Jinping Era". Le presidenziali negli Usa e la successione al vertice del Pcc, "sono eventi carichi di conseguenze per i due Paesi", afferma Li. I due cambi al vertice "dimostrano che non ci sono sistemi politici perfetti e che ogni sistema politico puo' avere falle": gli Stati Uniti sono in una "fase cruciale" per lo sviluppo del loro soft power sia a livello internazionale che domestico, mentre la Cina "ha più influenza sull'economia globale e sulla sicurezza regionale che in qualsiasi altro momento della sua storia moderna".
Allo stesso tempo, Pechino "sta lottando per eliminare alcuni punti deboli del suo sistema politico". La doppia transizione, per lo studioso, servirà a stabilire nuove basi nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti. Senza citarne direttamente i nomi, Li spiega che "se pensate che il rapporto tra Cina e Stati Uniti sia un gioco a somma zero, sapete per quale candidato votare; se pensate che il rapporto tra Cina e Stati Uniti serva a mantenere l'ordine a livello mondiale ne sceglierete un altro, ma la situazione è in costante mutamento".
La prudenza, almeno nella fase iniziale, sarà una chiave importante per il nuovo presidente degli Stati Uniti. "Non credo che ci saranno confronti duri tra Cina e Stati Uniti perchè non conviene a nessuno. L'immagine è un conto, ma non conviene giocare duro. Questa è una caratteristica politica molto importante per evitare di creare situazioni difficili per lo stesso nuovo presidente", prosegue Bo Zhiyue. Tanti i motivi per evitare di surriscaldare gli animi, secondo il professore di Wellington. "Se si pensa alla competizione economica, non si vuole un confronto aperto. Gli Stati Uniti vogliono una cooperazione con la Cina: gli Stati Uniti non producono molto, ma la Cina sì. Gli Usa hanno bisogno della Cina come partner commerciale, anche se in alcuni settori c'é competizione, come nel settore energetico o nelle tecnologie avanzate. Le relazioni tra Cina e Stati Uniti sono molto complicate sotto il profilo economico: non c'è uno che vince e l'altro che perde. In alcune aree, i due Paesi sono complementari, in altre sono concorrenti".
I due giganti del Pacifico si confrontano e si studiano a distanza in un momento in cui, contemporaneamente, guardano al loro interno per fissare i punti da cui partire per il futuro. Nonostante il focus della campagna presidenziale americana, giunta alla fase finale, sia su temi interni, e il sesto plenum del Comitato Centrale riguardi la disciplina di partito, la Cina ha un ruolo sempre più importante nelle vicende internazionali, una caratteristica con cui il nuovo inquilino della Casa Bianca dovrà fare i conti. "Gli Stati Uniti sono ancora un player dominante nelle relazioni internazionali. La Cina sta emergendo, soprattutto sotto il profilo economico, ma in altri termini, come il soft power, la potenza militare e la sicurezza, Pechino è davvero molto indietro rispetto agli Usa. Nel dibattito tra i due candidati", conclude Bo, "la Cina è diventato un argomento di discussione perché non credo ci siano altre grandi questioni che possano rappresentare una sfida per gli Stati Uniti". (AGI)