Jakarta - Poco dopo essere stata nominata ministro degli Affari Marittimi e della Pesca dal presidente dell'Indonesia, Joko Widodo, Susi Pudjiastuti ha imposto una svolta. La donna, che ha appena completato gli studi superiori, ha aperto gli occhi dei cittadini su come i pescatori stranieri rubino le loro ricchezze marine. E le spettacolari esplosioni controllate delle imbarcazioni trovate a pescare nelle acque territoriali di Jakarta l'hanno resa assai popolare. L'ultima volta, lo scorso 5 aprile, il ministro ha fatto saltare in aria 23 pescherecci in sette luoghi diversi. Susi, in qualita' di comandate della Task Force 115, ha convocato una videoconferenza per dare ai suoi uomini sul posto il comando di avviare le esplosioni. Al fianco del ministro una delegazione di rappresentanti della polizia, della marina militare e del ministero della Giustizia. A essere distrutte nelle acque indonesiane 13 imbarcazioni vietnamite e 10 malesi, numeri che fanno salire a 174 i natanti stranieri fatti detonare nel 2016 dalla signora Susi, ricorsa a un emendamento a una legge del 2004, la quale stabilisce che gli strumenti e gli oggetti utilizzati per la pesca illegale possono essere sequestrati dallo Stato e distrutti dopo aver ottenuto il parere positivo di un tribunale.
"E' una misura controversa ma i benefici sono evidenti", ha commentato Rizal Ramli, vice ministro degli Affari Marittimi. Il pugno duro di Susi ha infatti suscitato vive proteste, e non tanto per il carattere spettacolare delle misure sanzionatorie. Secondo i critici, il blocco dei trasferimenti delle merci da nave a nave e il congelamento delle operazioni dei pescherecci stranieri ha creato difficolta' ai pescatori e agli uomini d'affari indonesiani. Lo stesso vice presidente indonesiano, Jusuf Kalla, lo scorso 22 marzo aveva inviato una lettera al ministero affermando che la politica di Susi aveva causato un crollo delle esportazioni di pesce, rendendo difficilissimo per i pescherecci stranieri operare nelle acque indonesiane. "E' tutto in linea con le norme di rango piu' elevato, in particolare il decreto presidenziale sulla lista di investimenti vietati nel settore della pesca", ha replicato il ministro, secondo la quale la moratoria sulla concessione di licenze ai peschereccio stranieri e lo stop ai trasferimenti di merci in mare sono legati alla lotta alla pesca illegale. Il combattivo ministro non si e' fermato qua ma ha affermato che Kalla e' stato male informato dagli imprenditori dell'industria ittica e ha ribadito che ogni sua iniziativa viene sempre discussa con il presidente Joko Widodo (che, oltre a essere appassionato di death metal, deve amare anche i film d'azione con le esplosioni).
Per far rispettare la legge nei propri mari, l'Indonesia si scontra spesso con altri paesi. L'ultimo incidente e' avvenuto tra le isole Natuna a causa di una nave cinese, la Kway Fey, sospettata di pescare illegalmente nelle acque dell'arcipelago. Dopo l'arresto degli otto uomini dell'equipaggio, lo scorso 19 marzo, intervenne la guardia costiera cinese affondando l'imbarcazione per non farla cadere in mano straniera. Da allora gli otto pescatori del Kway Fey sono ancora detenuti per essere interrogati. Pechino ha reagito rivendicando il diritto di pescare nelle acque delle Natuna, Jakarta ha protestato con una lettera di protesta diretta al governo cinese nel quale viene lamentata la violazione della sovranita' del paese, nonche' l'interferenza in operazioni di sicurezza condotte dalle autorita' indonesiane nella propria zona economica esclusiva. "La tesi cinese e' falsa e infondata e lo Stato non dovrebbe agevolare la pesca illegale", ha chiosato Susi, "l'Indonesia e' in guerra con la pesca illegale, i cinesi dovrebbero saperlo e dovrebbero rispettarci".
La signora si e' dimostrata battagliera: ha minacciato di portare la Cina di fronte a una corte internazionale e si e' detta, allo stesso tempo, sicura che l'incidente non sia destinato a danneggiare i rapporti bilaterali tra le due nazioni asiatiche. "Non c'e' nessuna relazione d'affari o relazione diplomatica bilaterale che includa la pesca illegale come condizione per un buon rapporto", ha osservato Susi con un certo sarcasmo. E le possibili ritorsioni economiche non le fanno paura. "Se vorranno rifarsi sugli investimenti, ricorderemo loro che la pesca illegale non rientra nelle relazioni bilaterali positive", ha aggiunto, "sono sicura che la Cina non lo fara', manteniamo il principio che questa e' la legge e' questa e la nostra zona economica esclusiva; le risorse dei mari di Natuna e Arafura sono proprieta' dell'Indonesia, non della Thailandia, della Cina o del Vietnam". E le acque indonesiane sono tra le piu' pescose dell'area. Basti pensare che da esse arriva il 60% del tonno consumato nel mondo. (AGI)