Roma - Dopo una lunga attesa, e' arrivato nella notte a Tunisi l'accordo sui ministri del governo di unita' nazionale libico. Nato dopo interminabili negoziati, 48 ore dopo il previsto e un mese dopo la firma dell'accordo politico sotto 'egida dell'Onu, il governo, negli auspici della comunita' internazionale (governo italiano in testa) deve diventare l'interlocutore politico con cui affrontare le enormi sfide che il Paese ha davanti, a cominciare dall'emergenza migranti e dalla sfida del terrorismo jihadista. Trentadue i nuovi ministri di un esecutivo non proprio snello e che pero' ha dovuto rispondere ai delicati equilibri tra le fazioni e le tribu' libiche. Manca ora un altro passaggio chiave: il riconoscimento sostanziale dei due Parlamenti rivali nel Paese, quello di Tripoli e quello di Tobruk, che pero' non hanno mai dato l'accordo al Consiglio che lo ha eletto. Proprio all'assemblea di Tobruk si e' appellato l'inviato speciale dell'Onu, Martin Kobler, chiedendo che si riunisca velocemente per dare il via libera alla lista presentata. Sulla stessa lunghezza d'onda l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Federica Mogherini, e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che hanno sollecitato entrambi l'ok in tempi rapidi del Parlamento. Il capo della diplomazia italiana, che ha incontrato Kobler alla Farnesina, ha sottolineato che si tratta di un "passo cruciale seppure in un quadro che resta fragile", "un'opportunita' reale per la stabilizzazione del Paese che deve essere colta da tutti". I ministri sono stati scelti in maniera proporzionale alle tre principali regioni libiche, e ci sono poi 4 vicepremier; alla guida l'attuale capo del Consiglio presidenziale, Fayez al Sarraj; una sola donna, tra i nomi non c'e' quello del controverso generale Khalifa Haftar. Due personalita' del Consiglio di presidenza, non hanno firmato l'accordo: Ali al Qatarani e Omar Aswad, rappresentanti di Tobruk che volevano fosse confermato proprio Haftar come ministro della Difesa. Al delicato dicastero andra' comunque un suo fedelissimo, Mahdy Ibrahim al Barghthy, il capo militare delle brigate fedeli al generale da mesi impegnato nella battaglia di Bengasi. Espulso ai tempi del liceo per le sue idee ostili al regime, laureato in ingegneria, controllato dai servizi segreti, nel 2004 divento' colonnello nell'esercito di Gheddafi. Molto attivo durante la rivoluzione del 2011 che ha portato alla caduta del regime, ed e' stato responsabile delle prime linee di difesa della citta' di Bengasi durante la contro-offensiva tentata dal regime. Intanto l'ambasciatore a Roma, Ahmed Safar, ha avvertito che "su un intervento militare esterno ci sono ancora delle sensibilita' che potrebbero comportare rischi di conseguenze indesiderate". (AGI)
(19 gennaio 2016)