(AGI) - Mosca, 9 mar. - Il ministro dell'Energia russo, Alexander Novak, ha annunciato che a fine marzo si terra' a San Pietroburgo un vertice, aperto sia a produttori Opec che non Opec, nel quale verra' ridiscussa la proposta di un congelamento congiunto della produzione di greggio che consenta di risollevare i prezzi, il cui tracollo sta creando agli esportatori difficolta' economiche in alcuni casi gravissime.
Dopo aver ottenuto un primo risultato con l'impegno dell'Azerbaijan di mantenere l'output ai livelli del 2015, proseguono cosi' le manovre di Mosca per rendere concreto il finora aleatorio "accordo di Doha" dello scorso febbraio, quando Russia, Arabia Saudita, Venezuela e Qatar si erano impegnati a bloccare la produzione ai livelli (gia' record) di gennaio per ridurre l'eccesso di offerta che ha fatto precipitare le quotazioni, a condizione che altri produttori aderissero all'iniziativa. Come era inevitabile, si era messo subito di traverso l'Iran che, con le sanzioni da poco ritirate, non intende certo rinunciare in partenza alle quote di mercato perdute. E, se alcuni membri dell'Opec sono apparsi disposti a concedere una deroga a Teheran, altri sono di parere opposto. Solo ieri il ministro del Petrolio del Kuwait, Anas al-Saleh, ha avvertito che "vendera' ogni singolo barile prodotto" se l'Iran si chiamera' fuori.
Anche il Kuwait, secondo la stampa russa, figurerebbe pero' tra i 15 paesi che hanno gia' manifestato una disponibilita' di principio ad attuare l'accordo di Doha, insieme a Ecuador, Algeria, Nigeria, Oman ed Emirati Arabi Uniti. E, nel frattempo, il Cremlino starebbe cercando di convincere anche il Kazakhstan a fare la sua parte. Secondo Novak - impegnato nelle scorse settimane in un intensa tournee' diplomatica che ha toccato Riad, Doha, Abuja, Caracas e Teheran - i produttori mostratisi aperti all'intesa conterebbero per il 73% della produzione globale. Secondo l'emittente Russian Business Channel, oltre all'Iran e all'Iraq (paese che ha visto ricavi e produzione precipitare anche a causa del conflitto contro l'Isis), mancherebbero pero' all'appello pezzi da novanta come Stati Uniti, Canada, Norvegia e Messico, i quali non sarebbero stati ancora neppure invitati alle consultazioni.
Si tratta, ad ogni modo, della prima notizia concreta su un vertice tra produttori che abbia sul tavolo il tentativo di porre un limite all'eccesso di offerta. Nelle scorse settimane piu' di un membro dell'Opec aveva parlato di fantomatici vertici dell'organizzazione, annunci rimasti poi senza seguito, anche in virtu' delle profondissime divergenze che hanno lacerato il cartello in seguito alla decisione saudita di mantenere, nel novembre 2014, la produzione invariata per non perdere quote di mercato a favore dei produttori nordamericani di shale oil, il cui boom ha cambiato gli equilibri dell'industria. Tale decisione, infatti, invece di colpire i signori dello shale (che hanno mostrato una resistenza inattesa ai prezzi bassi) o il concorrente russo (che ha risposto aumentando a sua volta l'output ai massimi storici), ha finito per mettere in seria difficolta' quei membri dell'Opec che, a differenza dei sauditi (in grado di reggere anche con un barile sotto i 20 dollari), sopportano costi produttivi piuttosto elevati e non sostenibili con le attuali quotazioni, come Venezuela e Nigeria. E forse sono state proprio queste spaccature a spingere Mosca ad assumere l'iniziativa. (AGI)
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