(AGI) - Roma, 1 mar. - La notizia non e' che negli scorsi giorni due dei maggiori produttori statunitensi di shale oil, Whiting Petroleum e Continental Resources, abbiano sospeso a tempo indeterminato le attivita' di 'fracking' a causa del crollo delle quotazioni del greggio. La notizia e' che il settore degli idrocarburi non convenzionali abbia retto cosi' a lungo a una simile flessione dei prezzi.
Se l'obiettivo dell'Arabia Saudita, in quel fatidico vertice dell'Opec del novembre 2014 nel quale fu mantenuta la produzione invariata nonostante l'offerta sempre piu' abbondante, era buttare fuori del mercato i produttori di idrocarburi non convenzionali, va detto che questi ultimi stanno finora vendendo cara la pelle. Un anno fa analisti e addetti ai lavori dibattevano in maniera accesa sul quale fosse il 'breakeven' dello shale oil, ovvero il prezzo del barile al di sotto del quale i produttori avrebbero lavorato in perdita. C'e' chi giurava che il settore sarebbe imploso con quotazioni prossime ai 70 dollari. Gli stessi imprenditori del settore fissavano il punto di pareggio medio a 60 dollari. Invece, con il tempo, e' emerso che, al netto dei costi ambientali della fratturazione idraulica (l'iniezione nelle rocce di liquidi ad alta pressione per scomporle e liberare gli idrocarburi), il settore dello shale oil si e' rivelato molto piu' efficiente del previsto: secondo alcuni studi, in certe aree dei bacini texani di Eagle Ford e Wolcamp i benchmark si aggirerebbero addirittura intorno ai 25 dollari.
Le stesse Whiting Petroleum e Continental Resources, nell'annunciare la sospensione delle attivita' estrattive, hanno fatto sapere di essere pronte a riprenderle una volta che il prezzo del petrolio sara' tornato sopra i 40 dollari al barile. L'ad di Whiting Petroleum, Jim Volker, solo un anno fa aveva affermato che sarebbero stati trivellati nuovi pozzi solo con quotazioni sopra i 70 dollari. Ha fissato un punto di pareggio intorno ai 45 dollari anche la Apache Corp. Va inoltre considerato che la prevedibile serie di insolvenze che si verificheranno tra gli operatori di shale se i prezzi resteranno cosi' bassi, costringendo le aziende a rimborsare i creditori con la cessione di azioni, abbasserebbe ulteriormente i costi, dal momento che il pagamento degli interessi non impatterebbe piu' sul flusso di cassa.
In sostanza, se il barile si stabilizzasse sopra i 40 dollari, cio' innescherebbe un immediato aumento dell'offerta (i produttori di shale oil reagiscono in maniera piuttosto rapida alle oscillazioni dei prezzi) che spingerebbe gli investitori a un immediato dietrofront. La guerra dei prezzi tra Riad e i signori del fracking rischia quindi di trasformarsi in un'estenuante partita a ping pong. (AGI)
Rme/Mau