Il tentativo di scalare Mediaset è costato a Vincent Bolloré un'indagine per aggiotaggio. È questo il capo d'accusa che ha portato la Procura di Milano ad aprire un fascicolo sul finanziere francese, maggiore azionista del gruppo televisivo Vivendi. E, secondo quanto riportano alcuni quotidiani, a far partire l'azione degli inquirenti è stato un esposto di Fininvest, cassaforte della famiglia Berlusconi, alla Consob, all'autorità per le Comunicazioni e alla stessa Procura. Secondo il Biscione, il gruppo transalpino avrebbe avesse "creato le condizioni" per "far scendere artificiosamente il valore del titolo Mediaset" per poi scalare "a prezzi di sconto". Aggiotaggio significa infatti divulgare notizie false, o avvalersi di informazioni riservate, per alzare o abbassare il valore di un attività finanziaria, in questo caso le azioni del principale gruppo televisivo italiano, nel cui capitale Vivendi era salita il mese scorso alla soglia del 30%, che avrebbe fatto scattare l'obbligo di presentare un'offerta d'acquisto.
È solo l'ultimo atto di uno scontro totale che aveva visto Vivendi provare a scalare Mediaset per diventarne il secondo azionista e Fininvest, che possiede la maggioranza del Biscione, alzare un muro rastrellando azioni per impedirglielo.Per poi rivolgersi alla Procura per denunciare una manipolazione del mercato. Una partita complessa, fatta di operazioni corsare in borsa, giochi politici. E tribunali.
A capo della media company francese c’è un imprenditore che abbiamo sentito spesso nominare in questi mesi: Vincent Bolloré, 64 anni, bretone. Che ha approfittato del caos politico italiano e degli impegni di Silvio Berlusconi nella campagna referendaria per sferrare un attacco alla principale televisione privata italiana. La sua storia imprenditoriale ci dice che non è uomo da operazioni ostili su altre società. Ma anche che ha una grandissima capacità di sfruttare il caos per fare ottimi affari. Ma chi è Bolloré? Quali sono i suoi interessi in Italia? E che vuole fare di Mediaset?
Cosa sappiamo finora
Il 15 dicembre Vivendi era salita in due giorni fino al 20% del capitale di Mediaset. Fininvest, si era difesa acquistando 27,6 milioni di azioni ordinarie di Mediaset salendo al 40%. Un muro contro Bolloré, che il 23 dicembre era nel frattempo salito al 28,8%. Anche fermandosi a un soffio dall'opa obbligatoria, la media company francese, con una simile partecipazione, era diventata uno scomodo secondo azionista, con un grosso peso nel board. E molti si attendevano come prossima mossa di Bolloré chiedere di convocare un’assemblea di Mediaset per ottenere un posto in consiglio di amministrazione (gli organi societari si rinnoveranno nel 2018). Finivest però ha intenzione di vendere cara la pelle: a fine dicembre la finanziaria di Berlusconi denuncia alla Procura di Milano e alla Consob presunte manipolazioni di mercato da parte di Bolloré prima della scalata. E la politica, nel frattempo, alza le barricate. Il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, si scaglia contro quella che viene definita "un'operazione opaca". E nel frattempo si fanno stretti i contatti tra il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, e il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che, appena salito a Palazzo Chigi, si trova una bomba economica e politica da disinnescare.
Cosa è una scalata e quando diventa ostile
Il blitz del bretone negli ambienti finanziari si definisce “scalata”: l’acquisto di azioni di una società da parte di un’altra per assumerne il controllo. Mediaset ha definito invece l’operazione una “scalata ostile”. In entrambi i casi l'obiettivo è il controllo della società. Ma una scalata diventa ostile quando chi detenie la maggioranza delle azioni si oppone all'operazione. Vivendi ad ogni modo può comprare azioni fino al 29,9%. Superata questa soglia deve lanciare una offerta pubblica d'acquisto (Opa), chiedendo agli altri azionisti di vendere le proprie quote.
Tuttavia chi conosce gli ambienti finanziari, scrive il Financial Times, sa che Bolloré non è un manager da scalata ostile. Piuttosto trae vantaggio dalla confusione, politica o dei suoi avversari. E’ già successo. Nel 1998 con l’acquisto della concorrente francese Havas. O l'anno scorso con i videogame francesi di Ubisoft, che a lungo il suo amministratore delegato aveva cercato di difendere dall’assalto di Vivendi. Il copione è sempre lo stesso: braccio di ferro a oltranza, prima della conquista. Ma senza scalate ostili.
Vincent Bolloré e i suoi affari in Italia
Classe 1952, nato a Boulogne-sur-Seine, in Bretagna, Vincent Bolloré è il primo azionista di Vivendi, media company proprietaria tra gli altri di Canal+ e Universal Music. L’imprenditore vanta un patrimonio stimato da Forbes 4,7 miliardi di dollari, tanto da garantirgli il 248esimo posto nella classifica degli uomini più ricchi al mondo. Ma d’altronde Bolloré non è nuovo negli ambienti della finanza vantando un naturale fiuto per gli affari che accompagna la sua famiglia da sei generazioni. Nel 1981 il bretone si pone alla guida di un impero di famiglia che dal 1822 è “sopravvissuto con profitto a tre guerre e 35 governi francesi e sta saggiando le residue capacità di difesa tricolori”, si legge su Il Foglio.
Il momento in cui la finanza italiana diventa obiettivo del francese
Bolloré entra nella finanza italiana attraverso Mediobanca di cui è socio dal 2002 e secondo azionista con in tasca l’8% del capitale, vincolato. Da un anno, nel board dell’istituto di credito siede anche la più giovane dei suoi 4 figli: la 28enne Marie. Nel giugno 2015, tenta l’operazione più ambiziosa e attraverso Vivendi, compie la scalata su Telecom Italia acquisendone in tempo record il 24,9% delle quote. Si accaparra un posto di rilievo anche in Generali, occupando il posto di vicepresidente fino al 2013. Oggi l’imprenditore detiene lo 0,13% della compagnia assicurativa.
Perché il caos politico e familiare di Berlusconi lo avvantaggia?
Come si è detto, Bolloré cerca di approfittare dei momenti di crisi per chiudere buoni affari. Il 'raider' francese aveva annunciato la sua scalata dieci giorni dopo il referendum che aveva bocciato la riforma costituzionale e segnato la fine del governo Renzi. Non si tratta di un caso. Bolloré aveva tifato per il No al referendum costituzionale in modo da potersi muoversi in uno scenario di grande confusione sul piano politico in Italia. Approfittando anche della situazione in casa Berlusconi, dove l’ex premier è stato impegnato proprio sul fronte del No in chiave anti Renzi. Gentiloni, che è stato ministro delle Comunicazioni nel governo Prodi (2006-2008), era intervenuto subito dopo aver ricevuto l'incarico: “L’Italia è un’economia forte. Non è aperta a scorribande” aveva detto il premier nel discorso per la fiducia alla Camera, frase che molti hanno interpretato come un commento alla scalata Vivendi.
Cosa può succedere se Bolloré mette le mani su Mediaset?
Chiudere una causa supercostosa con Mediaset oppure dare vita a un gigante della tv europea: questi i due scenari possibili dietro la scalata di Bolloré.
- Per comprendere il primo bisogna fare un passo indietro: l'8 aprile del 2016 Vivendi e Mediaset si accordano per la cessione della pay-tv Premium al gruppo francese e per uno scambio azionario del 3,5%. A luglio Vivendi fa saltare l’accordo ritenendolo “irrealistico”. Mediaset gli fa causa ad agosto, chiedendo 50 milioni per ogni mese di ritardo del contratto. L’ipotesi avanzata dal Corriere della Sera è che Bolloré intendesse mettere sul piatto le azioni acquistate in questi giorni per chiudere per sempre la partita.
- La seconda invece vedrebbe nella scalata di Vivendi un tentativo del gruppo francese di creare un polo media e telecomunicazioni sull’asse Roma-Parigi-Madrid. Bolloré, scrive M-F Milano Finanza con il 24% di Telecom potrebbe “provare a dare vita a una triangolazione con Vivendi”, coinvolgendo la spagnola Telefonica. Per farlo deve salire al 15-20% di Mediaset provando a convincere la famiglia Berlusconi. Se la scalata avesse successo Vivendi si troverebbe di fatto con il 25% del “polo”, tra azioni in Telecom, Mediaset, e Telefonica. Con un business sul settore televisivo in ripresa. Nel 2016 il business delle tv in Italia è cresciuto del 6%, verso quota 8 miliardi. E fa gola.