di Riccardo Luna @RiccardoLuna
La notizia circolava da un po'. Twitter chiude la sede italiana. Diciassette persone perdono il lavoro compreso il country manager Salvatore Ippolito. Lo avevo sentito qualche giorno fa e mi aveva detto che era in attesa di decisioni. Ci sperava ancora (sul suo profilo non ci sono commenti ma solo, fissato in cima, un video di qualche tempo fa dove si vedono tutti i dipendenti di Twitter Italia che salutano in occasione di una campagna).
La crisi di Twitter non nasce in Italia dove anzi il bilancio della società è sano sebbene di dimensioni modeste: quasi 4 milioni di fatturato in leggero utile (qui l’analisi di Modefinance). La crisi è del modello globale di Twitter. Che è sì lo strumento ideale per informarsi e partecipare alla conversazione sulle ultime notizie ma non produce ricavi sufficienti a coprire i costi. E così brucia mezzo miliardo di dollari l’anno.
E poi c’è la frenata degli utenti. La crescita si è arrestata. In Italia non esistono cifre ufficiali ma saremmo fermi a meno di 9 milioni di iscritti. Nel mondo gli iscritti sono un miliardo e 300 milioni ma gli utenti attivi ogni mese solo 300 milioni. Senza contare che imperversano i bot, ovvero dei computer che mandano tweet automatici fingendosi utenti: nelle elezioni americane, dove pure si sono contati un miliardo di tweet in tre mesi, una università californiana ha scoperto che il 20 per cento dei tweet avevano come mittenti dei robot. E ai robot non puoi vendere pubblicità.
Per tutte queste ragioni quando il fondatore e amministratore Jack Dorsey ha cercato un acquirente ha trovato tutte le porte chiuse. Google, Apple, Salesforce, per citare i più noti, hanno declinato l’invito. Da qui è partita l’idea di Nicholas Negroponte, il vecchio guru del mondo digitale (qui ne parla con Repubblica). Questa: Twitter non fa soldi ma è diventato essenziale per informarsi. Facciamone una no profit, una fondazione o qualcosa del genere. Idea affascinante ma di difficile realizzazione: la petizione globale wearetwitter per far sì che gli utenti si comprino la piattaforma è ferma a tremila persone. Per salvare l’uccellino della rete forse servirebbe un mecenate con moltissimi soldi. I fondatori di Google e di Facebook sono i primi della lista. Se accadrà lo scopriremo di certo con un tweet.