di Ivana Pisciotta e Cristina Stillitano
Roma - A prima vista potrebbe sembrare un fenomeno positivo. Ma la diminuzione generalizzata dei prezzi - o deflazione, come si chiama in gergo tecnico - è una condizione insidiosa e tutt'altro che auspicabile. Soprattutto perché rappresenta la spia di quel grande freddo dei consumi e degli investimenti che mantiene il nostro sistema economico in uno stato di 'anoressia', impedendogli di ritornare a crescere.
Dopo la breve parentesi di settembre, i dati Istat di ottobre indicano che l'Italia è nuovamente in deflazione. Il mese scorso, riferisce l'Istituto di statistica, l'inflazione è risultata infatti in calo dello 0,1% su base mensile e dello 0,2% su base annua, "mostrando nuovamente tendenze deflazionistiche dopo la ripresa di settembre", quando l'andamento era positivo dello 0,1%. La stima preliminare era -0,1%.
Secondo l'Istat, continua soprattutto a pesare la contrazione dei prezzi dei beni energetici - ovvero tutti i tipi di gas, i carburanti e l'energia elettrica - il cui calo si accentua lievemente (-3,6% dal -3,4% di settembre) per effetto di una più intensa flessione dei prezzi di quelli regolamentati (-6,0%, era -3,8% a settembre) e di un parziale rientro della contrazione dei beni energetici non regolamentati (-0,9%, da -2,7% del mese precedente). I beni energetici regolamentati sono l'energia elettrica per usi domestici, il gas per la cottura dei cibi e per il riscaldamento; quelli non regolamentati sono la benzina verde, il gas GPL, il gas in bombole, il gasolio e il gasolio per auto.
Ulteriori contributi deflazionistici derivano dagli andamenti di altre tipologie di prodotto tra le quali spiccano gli alimentari non lavorati (-0,4%, da +0,4% di settembre) e i servizi ricreativi, culturali e della cura della persona, la cui crescita si azzera dal +0,6% di settembre. Pertanto, l'inflazione al netto dei beni energetici rallenta in misura significativa, attestandosi a +0,2% (era +0,5% il mese precedente).
COS'E' LA DEFLAZIONE E PERCHE' E' PIU' PERICOLOSA PIU' DELL'INFLAZIONE:
Se la crescita dell'inflazione spaventa, in realtà per l'economia il rischio deflazione è di gran lunga piu' pericoloso. Questo perché rappresenta la spia di una flessione accentuata dell'attività economica o dell'occupazione. La deflazione si registra quando i prezzi calano per effetto della debolezza di beni e servizi, cioè di un freno nella spesa dei consumatori e delle aziende.
I singoli individui tendono a posticipare gli acquisti (pensando "se aspetto costerà meno"), provocando una diminuzione generale dei consumi. Le aziende invece rinviano l'acquisto di beni e servizi ritenuti non indispensabili e di rimando, quelle imprese che non riescono a vendere a determinati prezzi alcuni beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori. Si innesca così una spirale negativa per la quale le stesse imprese, vedendo diminuire l'acquisto di beni e servizi da altre imprese, cercano di ridurre i costi facendone risentire anche il costo del lavoro (e quindi i salari) e ricorrendo in misura inferiore al credito.
In questa trappola, ad esempio, sono caduti paesi come la Grecia e, in passato, il Giappone, negli anni 2000-2006 (inducendo la banca centrale a lasciare i tassi allo 0% per favorire la liquidità circolante). Dagli anni '80 in poi non si sono verificati casi eclatanti di deflazione in Occidente, anche se la Germania ha registrato una contrazione dei prezzi al consumo per un breve periodo nel 2009, così come gli Usa tra il 2008 e il 2009. Ad agosto 2014, l'Italia è entrata in deflazione: era la prima volta che non succedeva da oltre 50 anni, e cioè dal 1959.
TSUNAMI DEFLAZIONE NELLE CAMPAGNE
La deflazione ha effetti devastanti nelle campagne dove le quotazioni riconosciute agli agricoltori rispetto allo scorso anno sono crollate per il grano del 26%, per le uova del 19% e del 18% per gli ortaggi che rappresentano una componente importante del carrello della spesa degli italiani. A segnalarlo è la Coldiretti secondo cui vi sono segnali negativi anche per gli allevamenti, in particolare per le carni di pollo (-9%) e di coniglio (-11%). A rischio, sottolinea la Coldiretti, "c'è il futuro di prodotti simbolo del Made in Italy, ma anche un sistema produttivo sostenibile che garantisce reddito e lavoro a centinaia di migliaia di famiglie e difende il territorio nazionale dal degrado e dalla desertificazione".
"Oggi gli agricoltori - precisa la Coldiretti - devono vendere più di tre litri di latte per bersi un caffè o quindici chili di grano per comprarsene uno di pane. Le coltivazioni come il latte e la carne subiscono la pressione delle distorsioni di filiera e del flusso delle importazioni selvagge che fanno concorrenza sleale alla produzione nazionale perché vengono spacciati come Made in Italy per la mancanza di indicazione chiara sull'origine in etichetta". (AGI)