Geminello Alvi
La crescita annua nelle economie emergenti e in via di sviluppo è proceduta alla media del 6,5% nei primo settennio del secolo. E addirittura mentre le economie avanzate erano in recessione o in fragile ripresa, è riuscita loro una crescita ancora potente. E tuttavia dopo di allora il tasso di crescita ha cominciato a cedere fino al tasso annuale caduto al 4% nel 2015. Anche la Cina, la maggiore economia emergente, ha registrato l’anno scorso il più basso tasso di crescita dal 1990. E ecco spiegati i dubbi crescenti circa la verosimiglianza che la crescita di queste economie prosegua, soprattutto che esse riescano a elevare ancora sensibilmente i loro redditi pro capite.
Certo in termini globali il peso degli emergenti ha raggiunto nel suo complesso livelli imponenti. La loro quota del prodotto mondiale in termini di parità di potere d'acquisto è di pochi punti al di sotto del 60% nel 2015. E tuttavia è bastato l’indebolirsi del commercio mondiale e una congiuntura monetaria che si profilava meno espansiva negli Stati Uniti a terminare l’entusiasmo che li accompagnava. La correlazione tra la congiuntura degli emergenti e il crollo di circa la metà di metalli preziosi e petrolio dal loro picco del 2011 è ritornata evidente, come in ogni ciclo del passato. E le difficoltà crescenti di Federal Reserve e della BCE a gestire la politica monetaria si sono ripercosse anch’esse sugli emergenti.
E appunto è tornato all’ordine del giorno il rischio di una loro ricaduta nella sindrome consueta all’America latina: con una crescita obbediente alla congiuntura del ciclo mondiale ma incapace del salto verso livelli di reddito pro capite stabilmente più elevati. Peraltro la cattiva allocazione delle risorse dell’economia cinese negli anni del boom era stata nascosta dall’imponente tasso di crescita del prodotto totale. Ma gli effetti distorti di un eccesso d’investimento e di capacità produttiva, i problemi del credito e il persistere di labirinti burocratici adesso risultano innegabili.
In conclusione il percorso di tutte le economie emergenti si conferma non troppo diverso da quello cinese: esse devono emanciparsi da una dipendenza eccessiva dalle esportazioni e riallocare la struttura dell’offerta, e quindi dei prezzi relativi. E perciò la crescita dei consumi interni potrà dirsi risolutiva solo se accompagnata da qualche seria riforma dello stato, del credito e dell’offerta. Senza di che si ricadrebbe appunto in scenari di ristagno o di stagflazione, e il reddito procapite non riuscirebbe nel salto, che invece pareva ormai avviato.