Roma - La vigilia del direttivo della Bce dopo il quale Mario Draghi dovrebbe annunciare un ulteriore allentamento della politica monetaria coincide con il primo compleanno del programma di 'quantitative easing', lanciato ufficialmente il 9 marzo 2015. Si tratta pero' di un anniversario amaro, dal momento che gli obiettivi che il piano di acquisto di titoli si proponeva appaiono ben lontani dall'essere raggiunti, laddove, ai tempi dell'ormai famoso 'whatever it may take', a Draghi basto' solo approntare il programma (mai attuato) Omt, che prevede l'acquisto di bond di paesi in crisi in cambio di riforme economiche, per stroncare la speculazione sul debito degli anelli piu' deboli dell'Eurozona, a partire dall'Italia.
Procedendo al ritmo di 60 miliardi di euro al mese (cifra che in molti prevedono domani salira' a 70), il 'Qe' ha finora fatto spendere a Francoforte oltre 700 miliardi in titoli di Stato e amministrazioni pubbliche e comunitarie, asset backed securities e covered bond. I risultati, al momento, non appaiono pero' soddisfacenti, sebbene non sia certo colpa dell'Eurotower se il quadro dell'inflazione e' stato sconvolto dal crollo del petrolio e delle materie prime o se la frenata della Cina ha pesato sulle esportazioni del blocco.
"Non credo sia stato per nulla efficace", ha dichiarato a MarketWatch il capo analista di Cmc Markets, Michael Hewson, "di certo, se l'obiettivo era abbassare i tassi di interesse, ha funzionato ma se lo scopo era far salire i prezzi delle attivita' e' stato un fallimento totale, cosi' come in termini di innalzamento dell'inflazione".
I numeri secchi sono pero' piuttosto impietosi. A febbraio il tasso di inflazione nell'Eurozona e' sceso in territorio negativo per la prima volta in cinque mesi attestandosi a -0,2%. Nel febbraio 2015, prima del lancio del 'Qe', il dato era al -0,3%. In larga parte pesa il calo dei prezzi dell'energia, scesi dell'8% lo scorso mese, ma anche il dato 'core' (ovvero depurato dalle componenti volatili di cibo ed energia) rimane inchiodato a un magro 0,7%, ben lontano dall'obiettivo di un tasso di inflazione prossimo al 2%.
E se i prezzi non salgono sui banchi del supermercato, non salgono nemmeno nelle sale di trading. Il 'quantitative easing', aumentando artificialmente la domanda di attivita' finanziarie, punta ad aumentarne le quotazioni. Il valore dell'indice paneuropeo Stoxx Europe 600, ad esempio, e' sceso del 14% rispetto a un anno fa, sebbene la flessione sia in buona parte legata alla brusca correzione derivante dall'effetto combinato del tonfo del barile e della preoccupante volatilita' mostrata dalle piazze finanziarie cinesi nelle prime settimane del 2016.
Quanto al tasso di cambio dell'euro, il 'Qe' avrebbe dovuto deprezzarlo, rendendo piu' competitivi all'estero i beni prodotti in Europa e piu' costose le importazioni, il che agisce a sua volta sulle aspettative di inflazione. Esattamente un anno fa la moneta comune valeva 1,0845 dollari. Oggi ha chiuso sopra quota 1,10 dollari. Anche in questo caso non e' certo colpa di Draghi. Poco dopo l'avvio del programma, l'euro era scivolato a quota 1,05 dollari, facendo preconizzare a piu' di un analista la parita' con il biglietto verde entro la fine dell'anno. Di traverso si e' messa, pero', la Federal Reserve che, dopo anni di costo del denaro a zero, non sta attuando l'annunciata stretta monetaria ai ritmi promessi, pari a un punto percentuale l'anno. Dopo il ritocco di un quarto di punto dello scorso dicembre, primo aumento dei tassi Usa in un decennio, il secondo, previsto sulla carta questo mese, e' stato rimandato a data da destinersi alla luce delle accresciute incertezze globali. La valuta a stelle e strisce ha percio' ricominciato a perdere terreno e, a fronte del rallentamento del Dragone, la Fed al momento non intende certo penalizzare gli esportatori americani. Del resto non e' semplice stringere quando gli altri allargano e pure Tokyo si unisce al club dei tassi negativi. Difatti c'e' anche la questione - tecnicamente separata dal 'Qe' - dei tassi sui depositi, che domani potrebbero essere ulteriormente abbassati in territorio negativo dall'attuale -0,3%. Lo scopo e' quello di convincere le banche a fornire credito, rendendo oneroso parcheggiare denaro presso le casse di Francoforte. Nei paesi caratterizzati da banche con un'elevata quota di sofferenze, invece di riattivare il credito si rischia pero' di erodere ulteriormente la redditivita' di istituti gia' in crisi. "La Bce cerchera' di estendere e aumentare il 'Qe' e di tagliare ancora il tasso sui depositi ma e' limitata dal fatto che le banche rimangono ancora in condizioni molto precarie, soprattutto in Italia e in Grecia", sottolinea ancora Hewson, "cio' al momento non e' sostenibile e, finche' non si sistema il settore bancario, l'Europa restera' rotta". A meritare un ulteriore riflessione sarebbe il ritardo con cui il 'Qe' e' stato lanciato, ovvero quattro mesi dopo la fine del programma di alleggerimento quantitativo della Federal Reserve, che gia' a ottobre 2014 aveva concluso il 'tapering', ovvero chiuso del tutto il piano di acquisto di titoli. Ma, in questo caso, piu' che a Francoforte bisognerebbe chiedere spiegazioni a Berlino, sede della Bundesbank, che ha avversato il piu' possibile l'avvio del piano giurando che non sussistesse il minimo pericolo di deflazione. E oggi i prezzi continuano a decrescere esattamente come un anno fa. (AGI)