(AGI) - Roma, 29 feb. - In Cina aumentera' la domanda di beni alimentari e le imprese italiane potranno approfittarne. L'export italiano di generi agroalimentari in Cina potrebbe passare dai circa 320 milioni di euro del 2014 ai 410 milioni nel 2018. E' questo lo scenario tracciato da Sace, secondo cui il gigante asiatico (che dopo anni di Pil a due cifre nel 2017 dovrebbe registrare una crescita economica del 6%) sta virando verso un'economia piu' matura ed equilibrata, che passera' per maggiori stimoli ai consumi interni (a discapito di investimenti ed esportazioni), produzione di beni di qualita' piu' elevata, sviluppo del settore dei servizi e ricorso a fonti rinnovabili per la produzione di energia. "Il ribilanciamento cinese - spiega Sace - puo' rappresentare un vantaggio per i paesi esportatori" di prodotti in primis quelli agroalimentari. Secondo lo studio, la parte di popolazione maggiormente abbiente delle grandi citta' cinesi e' in proporzione molto numerosa, tanto che anche una piccola elite costituisce un elevato potenziale di consumo. Inoltre, un numero crescente di citta' costiere mostra forti segnali di occidentalizzazione dei consumi, anche nel settore alimentare (pasta e prodotti tipici come l'olio extra-vergine di oliva o parmigiano). Il 'Focus' di Sace sottolinea poi che i nuovi flussi turistici cinesi sosterranno la domanda di prodotti esteri una volta rientrati in patria, grazie al contatto diretto tra consumatore cinese e cucina italiana; inoltre, che il mercato continua a crescere esponenzialmente e la legislazione locale sara' progressivamente semplificata, facilitando l'ingresso sul mercato di nuovi importatori e distributori. La crescente domanda di alimenti sicuri da parte dei consumatori cinesi - prosegue l'analisi dell'Ufficio studi di Sace - funge da stimolo all'importazione di prodotti finiti e allo sviluppo delle tecniche di conservazione degli alimenti freschi, mentre la riduzione dei dazi sui prodotti di lusso approvata nel 2015 include anche i prodotti alimentari di alta qualita', primo fra tutti il vino. Alla luce di questi cambiamenti, Sace ipotizza l'apertura di due tipi di opportunita' per le imprese italiane: sfruttare l'evoluzione delle abitudini alimentari della popolazione cinese, aumentando l'export di beni alimentari lavorati di alta qualita' per raggiungere 30 milioni di consumatori cinesi ad alto reddito e fornire macchinari per la lavorazione delle materie prime agricole ai paesi latinoamericani che esportano beni primari in Cina. Attualmente, il principale prodotto esportato e' il vino, con un peso sul totale di oltre il 23%, seguito dal cioccolato (22%) e dai prodotti da forno (10%). L'olio di oliva, benche' rappresenti solo il 7% circa dei beni alimentari esportati in Cina, vede l'Italia come il secondo esportatore dopo la Spagna. I prodotti residuali, quali ad esempio le carni e gli insaccati e i prodotti lattiero-caseari hanno ancora un peso ridotto ma margini di crescita elevati, come confermato dalle dinamiche degli ultimi anni.
Lo sviluppo del mercato alimentare cinese dipende dal livello di infrastrutture logistiche a supporto della rete di distribuzione, le quali sono concentrate nelle aree a maggiore densita' di popolazione. Un canale distributivo con grandi potenzialita' e che sta sperimentando una notevole crescita e' quello online: basti pensare che nel "giorno dei single" dell'anno appena passato (11 novembre) il colosso dell'e-commerce Alibaba ha fatturato circa 14 miliardi di dollari in una sola giornata. Secondo le stime di Forbes nel 2020 ci potrebbero essere 750 milioni di utenti/consumatori online (nel 2014 erano 360 milioni). (AGI)
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