(di Geminello Alvi)
Tassi di crescita come quelli riusciti al boom cinese implicano una quota di investimenti sul Pil imponente, e che l'intervento statale per esempio in infrastrutture sia in grado di reggere. E invece in India l'indice degli investimenti resta stagnante di almeno cinque punti al di sotto dei livelli del triennio 2011-2012, quando era salito al 33,6% del Pil. Percio' a diciotto mesi dall'elezione di Narendra Modi le sorti dell'economia indiana non sono granche' mutate. E non c'e' Stato dell'India che faccia eccezione. Se, secondo le stime di Gita Gopinath dell'universita' di Harvard, gli Stati di Maharashtra e Karnataka, per esempio, hanno subito un calo di circa il 15% dei loro progetti d'investimento, invece nel Gujarat e nel Tamil Nadu sarebbe andata anche peggio.
E il primo motivo di questo ristagno non sarebbe soltanto la congiuntura internazionale, ma anche le mancate riforme in particolare quelle, sempre secondo la Gopinath, per acquisizione dei terreni. Un difetto che non ha trovato rimedio, anzi e' divenuto piu' grave con la decisione del governo centrale di delegare ai governi statali alcune competenze. Per certo le sorti della congiuntura indiana sono complicate comunque anche dall'aggravarsi della posizione finanziaria delle imprese e del sistema bancario. Cosi', malgrado tutte le migliori intenzioni del governo nell'asta delle licenze minerarie, le difficolta' delle banche hanno impedito alle societa' di approfittarne. Le sofferenze ammonterebbero infatti al 17% dei prestiti bancari, in uno scenario che inizia ad avvicinarsi ai peggiori esempi europei o giapponesi.
Ed ecco perche' i tassi di interessi nominali malgrado il contenimento della inflazione non sono quindi calati. Tanto che il costo reale del denaro preso in prestito dalle banche pubbliche si e' moltiplicato, dal 0,75% del primo trimestre 2012 a 5,24% nel terzo trimestre 2015. Ne' la Reserve Bank of India puo' insistere in un ulteriore taglio dei tassi. Col rialzo dei tassi della Federal Reserve una svalutazione della rupia rischierebbe infatti di compromettere la posizione debitoria delle imprese e delle banche indiane che si ritrovano notevolmente esposte per i loro prestiti in dollari.
Del resto il rallentamento dell'economia mondiale non aiuta gli investimenti e scoraggia l'indebitamento a lungo termine. Non resterebbe dunque all'India che rinforzare l'investimento in infrastrutture. Ma qui si ritorna al punto di partenza. Sia gli investimenti pubblici, sia quelli ottenuti dall'estero richiedono le grandi riforme strutturali per le quali parrebbe mancare, secondo vari analisti il consenso politico.