Roma - "La moneta cinese e' destinata a diventare una valuta internazionale": ne e' convinto il presidente della Fondazione Italia-Cina Cesare Romiti. "Molte transazioni gia' da tempo avvengono in Rmb - ha dichiarato Romiti in un'intervista all'AGI -, dollaro e yuan saranno le monete piu' importanti del mondo. L'euro, fin quando gli europei non capiranno che occorre l'unita' monetaria e politica, arranchera'". E' del 30 novembre scorso la decisione del Fmi di inserire lo yuan nel paniere dei diritti speciali di prelievo. Un grande passo in avanti per la Cina che con l'attuale rallentamento dell'economia mostra un "segnale di evoluzione". Ma secondo Romiti il Paese ha ancora davanti a se' una strada in salita: "Pur avendo urbanizzato e trasformato intere fasce di popolazione da agricole in industriali, le aree occidentali sono ancora arretrate e il tasso di corruzione continua a essere elevato nonostante la forte campagna interna al Partito. Xi Jinping sta incontrando resistenze enormi nella sua attivita' riformatrice ma sono convinto che portera' a termine il programma di governo". Prima di assumere la presidenza della Fondazione Italia Cina, l'accreditata organizzazione milanese per promuovere iniziative economiche e politiche rivolte a Estremo Oriente, Romiti fu per 25 anni amministratore delegato della Fiat. L'azienda aveva allacciato rapporti con la Cina nel 1970, l'anno in cui l'Italia ristabili' i rapporti diplomatici con il Paese.
"Negli anni '80 la Cina voleva costruire nella citta' di Nanchino una fabbrica di automezzi non pesanti. Si rivolse a noi, che all'epoca eravamo Iveco - ha spiegato Romiti -. Arrivarono in Piemonte mille cinesi per un anno di specializzazione. Un' esperienza che credo non si sia mai piu' verificata, ne' in Italia ne' nel resto d'Europa. Nacquero rapporti personali; molti di questi signori impararono l'italiano, e molti italiani impararono il cinese". Un anno dopo, venne inaugurata la fabbrica a Nanchino, che e' "sempre stata considerata dal governo cinese un modello". In anni in cui in Italia era diffusa la percezione della Cina come una minaccia, Romiti era convinto che si potessero fare grandi cose con Pechino. Nel 2003, dopo esserne diventato presidente, trasformo' l'Istituto Italo Cinese, retto sino al 1996 da Vittorino Colombo, in Fondazione Italia Cina con l'obiettivo di creare qualcosa che potesse dare l'idea dell'avvenire del mondo in cui la Cina avrebbe giocato un grande ruolo. La costituzione della Fondazione "mi costo' fatica. Fui avversato moltissimo". "Io sostenevo che la Cina fosse una grande opportunita' per il mondo occidentale, e in particolare per l'Italia, mentre la nostra classe politica sosteneva esattamente il contrario" ha raccontato Romiti. "Una volta, l'Unione industriale di Brescia invito' Mario Monti e me a parlare di Cina. A Lumezzane, piccolo comune del bresciano noto per la produzione di vasellame e la lavorazione di metallo, fummo accolti con astio, come fossimo in guerra. Ci accusarono di voler distruggere l'industria italiana". Romiti e Monti sostenevamo che la vera minaccia non fosse la concorrenza delle merci cinesi ma un problema di volonta' da parte italiana: "Dovevamo imparare dalla Cina, un mercato che andava capito per poterlo affrontare in modo intelligente, senza chiudersi o difendersi in modo aggressivo" ha scandito il Presidente della Fondazione. "La Cina e' cambiata tantissimo. Pechino negli anni '80 era un enorme agglomerato di case basse e sporche. Milioni di biciclette, pochissimi taxi. Oggi, e' diventata una delle citta', dal punto di vista architettoniche, piu' moderne del mondo". Non solo. Anni fa "la parte piu' arretrata della Cina era quella occidentale, quella piu' sviluppata era invece quella orientale. Oggi il Paese ha quasi portato a termine il progetto di urbanizzazione delle classi contadine". I cinesi hanno saputo unire due cose antitetiche, comunismo e libero mercato, anche se "il Comunismo oggi e' una burocrazia. Il Paese ha tra le classi dirigenti piu' efficienti al mondo".
(12 gennaio 2016)