S embrano due utopie, un po' fuori dal tempo: scrivere un romanzo a mano e vivere di scrittura. Eppure è la scommessa alla quale Nicola Lecca, cagliaritano, classe 1976, ha affidato la propria esistenza. E con il suo ultimo romanzo, 'I colori dopo il bianco' (Mondadori, 188 pagine, 18 euro) mostra di cosa è capace un autore che ha scelto di non fermarsi mai, di non rassegnarsi all'idea di diventare un travet della narrativa. Anche per questo 'I colori dopo il bianco' ambisce a essere un libro universale, che non appartiene a nessun luogo eppure li racconta tutti; che è scritto da un italiano, ma ha protagonisti che vengono da ogni parte d'Europa. Così la storia di Silke, stanca di Innsbruck e ansiosa di liberrasi del proprio passato, diventa la metafora di una generazione che sa di dover tagliare le proprie radici se vuole sopravvivere. Silke sceglie Marsiglia, rinunciando al benessere di una vita privilegiata per trasferirsi in un micro appartamento vicino al porto, lasciandosi alle spalle lo sfarzo della villa di famiglia e il soffocante controllo di genitori ossessionati dalle regole, ancorati alle tradizioni e devoti al culto della reputazione più che all’amore o alla verità.
Abbiamo intervistato Nicola Lecca
Perché scrivere un libro a mano?
Mi considero un artigiano della parola. Ho scritto "I colori dopo il bianco" a mano (e senza fretta) nei caffè di Vienna, Salisburgo, Milano e Venezia. Ho impiegato 4 anni. Non mi sono mai accontentato di una parola che andasse bene e, invece, sono sempre andato alla ricerca di quella giusta. Ho cucito le frasi insieme con una cura infinita. L'ho fatto per offrire ai miei lettori un romanzo ipnotico capace di portarli via dal quotidiano e far vivere loro un'esperienza nuova e - spero - indimenticabile.
La lettura di libri soffre del tempo speso sui social network. Come si possono riportare lettori sulla carta?
La mia popolarità sui social è stata fondamentale per la diffusione dei miei titoli più recenti. Da quando ci sono Facebook, Twitter e Instagram le tirature dei miei libri sono diventate molto più consistenti e il numero di edizioni è anch'esso aumentato. Per uno scrittore, oggi, è fondamentale dialogare con i propri lettori online. Questo permette di creare un prezioso legame che, prima, era più difficile poter avere. Ogni giorno ricevo con emozione immagini, commenti e impressioni da chi legge i miei libri. Rispondo sempre a tutti e devo confessarle che tutto ciò mi incanta e mi sprona a fare sempre meglio.
I personaggi del suo romanzo sono stranieri in terra straniera, quale realtà racconta?
Da Sant'Agostino a Heidegger il viaggio è vita, confronto: apertura. Insomma, vivere davvero significa incontrarsi col mondo: uscire dall'abitudine e andare alla ricerca di un destino che finalmente ci assomigli. "Il destino non esiste. Il destino sei tu. E' ciò che vuoi: ciò che desideri" - Spiega un'ex prostituta a Silke, la protagonista del romanzo
Lei è uno scrittore ancora giovane che scrive in un modo 'antico' (nel senso buono) in che realtà vive?
Nel commentare la mia opera d'esordio "Concerti Senza Orchestra, lo scrittore Sergio Maldini (vincitore del Premio Campiello con "La Casa a Nord-Est, ndr) disse: "Hai scritto questi racconti come una volta: per l'eternità. Mi rallegro che esistano ancora ventenni come te". Ora che di anni ne ho quaranta continuo a scrivere allo stesso modo. Forse per questo quasi tutti i miei libri sono stati adottati dalla Biblioteca del Premio Nobel a Stoccolma.
Uno studio recente dice che gli scrittori vivono in povertà o non vivono solo di scrittura. É così?
Fatta eccezione per una breve parentesi lavorativa a Londra, fin da ragazzo vivo esclusivamente dei diritti d'autore dei miei libri e dei miei articoli di giornale. Non sono ricco. Non sono povero. Ma posso confermare che sta diventando sempre più difficile. Soprattutto per chi come me - senza fretta - confeziona romanzi "di sartoria" per i quali sono necessari anni e anni di cura certosina.